Il ricordo di Almerigo Grilz, primo reporter italiano a cadere dal Dopoguerra, esce dal cono d’ombra nel quale è stato a lungo relegato da chi dispensa patenti di presentabilità. Perché Almerigo Grilz, coraggioso triestino classe 1953, è stato tante cose: prima di scoprire la passione del reporter di guerra è stato un militante di destra con incarichi di dirigenza nel movimento giovanile Fronte della Gioventù e poi consigliere comunale del Movimento Sociale Italiano nella sua Trieste. Questa la “colpa” dell’eterno giovane morto a 34 anni con la cinepresa super 8 in mano ed il taccuino in tasca. Morto in Mozambico, mentre documentava una delle tante guerre dimenticate che aveva iniziato ad inseguire dagli anni Settanta assieme agli amici di sempre: Fausto Biloslavo e Gian Micalessin.
La sua storia adesso è diventata un film – scritto e diretto da Giulio Base – che, dicevamo, rende giustizia al reporter dimenticato dal suo stesso mondo, quello dell’informazione, per ragioni meramente ideologiche. “Albatross” è il nome della pellicola. Lo stesso nome dall’agenzia giornalistica che Grilz, Biloslavo e Micalessin avevano fondato nel 1983. Un nome che è un manifesto del giornalismo libero: un invito a volare alto, a guardare le cose da una prospettiva elevata, al di sopra cioè degli steccati ideologici e del conformismo. “Trovo ingiusto che una figura di questo tipo non fosse ricordata, mentre suoi colleghi proprio perché non appartenenti a quella scuola di pensiero lo sono stati”, spiega Giulio Base in una lunga intervista con Il Secolo d’Italia.
Una operazione non facile, quella portata a termine da Base, che lo espone a potenziali critiche ed attacchi: basti pensare che il premio giornalistico nato alla memoria di Grilz ha innescato anche quest’anno le proteste di Anpi, Cgil, Partito democratico e Movimento 5 stelle. Ma se Grilz fosse stato un iscritto alla Fgci si sarebbe fatto tutti questi problemi? “No, certamente no”, continua il regista parlando al Secolo. Ecco perché questa pellicola – che può contare su un cast di tutto rispetto: da Francesco Centorame nei panni di Grilz a Giancarlo Giannini che è Vito Ferrari – va sostenuta. Perché un atto di coraggio. È una operazione che contribuisce a ridare dignità ad un grande corrispondente e ad abbattere muri che tanti troppi professionisti considerati “dalla parte sbagliata” si sono trovati davanti. Ieri come oggi.
“A volte, nel giudicare le cose, il grande pubblico sa essere più maturo delle piccole parrocchie politiche, immerse in una guerra civile buffa perché permanente”, racconta – sempre al Secolo d’Italia – Tony Capuozzo, al quale è ispirato il personaggio di Vito Ferrari. Capuozzo militava con Lotta Contina all’epoca della morte del reporter dimenticato, e dice: “Quando morì, non ho avuto un momento di dubbio: per me era morto un giornalista con la telecamera in mano. Non mi interessava quello che avesse fatto da giovane, per chi avesse votato o a quali manifestazioni avesse partecipato. (…) La vicenda di Grilz non può essere cancellata dalla storia del giornalismo italiano. Sarebbe come decidere di rinunciare a uno strumento dell’orchestra, di metterlo all’indice. Come fanno i talebani, del resto, che non a caso vietano la musica”.