Immigrazione, Francia specchio di una sinistra ipocrita e fallimentare

2020. Alla Camera omaggio a George Floyd e alle piazze che dicono no a razzismo e a ogni forma di discriminazione. Da Washington a Torino, il mondo in ginocchio per Floyd e per dire no al razzismo: c’è una speranza, per il dopo covid e anche per il dopo Trump. E poi arriva lui Justin Trudeau, inginocchiato per George Floyd, un gesto eclatante contro il sistema Trump ma anche un modo per fare autocritica. Trump esca dal suo bunker e affronti la realtà. Facebook, Twitter e Instagram rimuovono un post di Trump su George Floyd.

Senza le strade in fiamme negli Usa contro la merda Donald Trump il nome di George Floyd sarebbe già rimosso. George Floyd, 66 esperti Onu di diritti umani: «Linguaggio Trump evoca i segregazionisti del passato. In polizia eredità del terrore razziale». 10 giorni dopo l’omicidio di George Floyd, l’America si ritrova in un unico grande respiro antirazzista, con manifestazioni in tutti gli Stati.

Un milione a Washington di fronte alla Casa Bianca, dove si è asserragliato Trump circondato da polizia e paramilitari. Il presidente Trump chiama “cretini” i governatori che non sbattono in galera chi manifesta dopo la morte di George Floyd, il sindaco di New York, De Blasio, si dice invece “orgoglioso” della figlia, arrestata perché manifestava: sono due Americhe e si confronteranno a novembre.

Esiste un’America non razzista e democratica ed è quella che da circa una settimana è in piazza a manifestare la propria solidarietà a George Floyd contro la politica del seminatore di odio Trump. La vescova della chiesa episcopale che Trump ha visitato per farsi fotografare con la Bibbia in mano: «non ha pregato né nominato George Floyd». Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Chan scrivono di essere “scossi e disgustati” dai commenti di Trump sulle proteste per George Floyd. George Floyd, gli americani stanno dalla parte di chi protesta (e contro Trump).

Alt. Basta.

Potrei andare avanti per mesi, mettendo uno in fila all’altro gli appelli a inginocchiarsi «contro il razzismo», le giustificazioni per il nascente fenomeno della cancel culture che in quel periodo cominciò prendendo di mira le statue di Cristoforo Colombo, gli attacchi alla polizia «violenta e razzista», la colpa tutta dei fascisti, suprematisti bianchi, estrema destra o delle destre che dir si voglia.

Al contrario, non potrei scrivere un granché sulle città messe a ferro e fuoco, i negozi svaligiati, le persone ferite, le macchine date alle fiamme ed i quartieri occupati dagli esponenti di Black Lives Matter. Poca roba, per il mainstream, a confronto dell’irritante presenza di Trump alla Casa Bianca. Per non parlare delle statistiche. Sapete? Sono quei numeri aggregati attraverso i quali possiamo leggere alcuni fenomeni. Ecco, quelli – non Trump – dicono che negli Usa i bianchi uccisi in scontri a fuoco con la polizia sono mediamente il doppio rispetto ai neri, ma forse è meglio non dirlo.

2024. Accade che in Francia un diciassettenne venga accidentalmente ucciso da un agente di polizia. Oltralpe, però, non c’è quel cattivone di Trump ma Macron, che è l’idolo dei globalisti, quindi inginocchiarsi non serve. Pazienza se le proteste che vanno avanti da giorni sono il frutto di una gestione dell’immigrazione fallimentare (eufemismo), di fatto un’auto-invasione o una sottomissione all’islam, per dirla con l’Houellebecq d’antan, che – purtroppo per i nostri fratelli francesi – ha partorito bombe sociali come le banlieue, alimentato il propagarsi del fenomeno dei foreign fighters e creato il clima d’odio da cui sono nati i tragici attentati che hanno colpito la Francia a più riprese.

Tacciono, i signori della gauche caviar, perché da decenni si fregiano del “modello di integrazione francese” omettendo, però, che sia il prodotto di un colonialismo spesso spregiudicato e del multiculturalismo di facciata «del siamo tutti francesi» salvo poi emarginarli in ghetti edificati a debita distanza dalle patinate vie dello shopping e puntare strumentalmente il ditino contro Giorgia Meloni e il suo governo, dimostrando di non conoscere vergogna.

Un sistema ipocrita, altro che modello.

Eppure, alle nostre latitudini c’è ancora chi vorrebbe importarlo, farneticando un giorno sì e l’altro pure di ius soli e ius scholae, ignorando (almeno spero, perché altrimenti dovremmo definirli irresponsabili) che in Francia hanno subito così tanti attentati a causa dell’impossibilità di espellere soggetti di nazionalità francese, anche se pericolosi e attenzionati dalle Forze dell’Ordine. Pericolo che invece, facendo i debiti scongiuri, l’Italia ha evitato proprio grazie all’efficienza dell’Antiterrorismo e alle norme che facilitano l’espulsione di soggetti privi di cittadinanza.

L’integrazione non si fa con l’ipocrisia del politicamente corretto, ma con i fatti concreti, salvaguardando la dignità e il benessere delle persone e il rispetto di quelle stesse identità che i radical chic oggi ebbri di ideologia woke vorrebbero cancellare in toto. I risultati – ahinoi – sono sotto gli occhi di tutti.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

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