Lontani da ogni ideologia “centrosocialara” di progressismi senza progresso, nonché liberi dalle partitocrazie dell’attuale sinistra, e dalla retorica corrotta del buonisticamente corretto, abbiamo il dovere di servire la verità. La serviremo anche chiarendo alcuni dati di fatto, provando a togliere i dolosi – o quantomeno colposi – paraocchi alle vestali politicizzate del mainstream. Nel servire la verità serviremo la patria, a beneficio di tutti.
Uno: l’immigrazione rappresenta un fenomeno complesso, non semplicistico. Due: essa ha un impatto sul bilancio statale, e quindi sulle tasche degli italiani. Non è infatti vero che non comporta costi rilevanti, o che genererebbe soltanto investimenti per pagare le pensioni. Per gestire efficientemente la imprescindibile fase dell’integrazione, subito dopo la prima accoglienza, occorrono risorse da reperire attraverso l’imposizione fiscale; tranne se non si voglia far entrare esseri umani in Italia per poi vederli abbandonati ad un triste destino di degrado, come in passato è stato fatto, solo perché così ci veniva richiesto dall’esterno.
Quello dell’immigrazione è certamente un fenomeno non nuovo nell’umanità, e proprio per questo dovremmo riconoscere con maturità quando, come e perché accogliere, o non accogliere, e soprattutto chi accogliere. Ciò va fatto a garanzia della sicurezza urbana-finanziaria-umana, che deve sempre ispirare lo Stato di diritto post-contemporaneo.
Di fronte ad una tendenza immigrazionista fortemente inquinata da traffici criminosi transnazionali, e circostanziata da ingiustificabili tratte d’esseri umani, il governo dell’attuale centrodestra sta assicurando ai cittadini un giusto equilibrio tra ordine e humanitas. Giorgia Meloni, realisticamente, sta dimostrando che la questione dell’immigrazione non può essere affrontata a colpi di nichilismo (come è stato fatto in passato). Il Presidente del Consiglio Meloni ha dato pratico corso ad una nuova scuola di pensiero e d’azione, secondo cui la materia dell’immigrazione deve essere gestita all’interno di una visione geopolitica che risulti appetibile, oltre che non confliggente con gli interessi della patria italiana o con la sacra difesa delle identità latine-italeuropee.
Un governo serio, attento, securitario e tradizionalmente liberale, d’altronde, non può non dimostrarsi conservativo dell’ordine, e quindi della pace sociale, nelle tante periferie esistenziali della Nazione, di cui è politicamente responsabile. Soltanto in un contesto non anarcoide sbocciano i fiori delle tutele effettive, per i diritti socioeconomici come per quelli civili, sociali e umani. Su questo fronte il governo Meloni risulta originalmente sensibile, anche secondo la migliore stampa estera.
Non era più possibile governare come si è fatto per quasi tutto il decennio degli anni Dieci del corrente secolo: non è più possibile illudere chi scappa dalle proprie terre disagiate, da un lato, né deludere le aspettative di alleggerimento fiscale di chi lavora e paga regolarmente le imposte in Italia, dall’altro lato.
Se non è sempre possibile fare cose nuove, né miracoli immediati, è possibile fare nuove le cose. Il governo Meloni sta provando a ideare una specie di rivoluzione diplomatica internazionale, nella gestione dell’immigrazione, con il Piano Mattei: attraverso gli strumenti di cooperazioni e partenariati bilaterali o multilaterali fra Stati. L’innovazione lungimirante dello stile governativo meloniano risiede anche nel fare della questione migratoria un contrappeso strategico nelle questioni energetiche e commerciali euromediterranee, oltre che nelle amicizie fra popoli sovrani: attraverso una solida, cordiale diplomazia.
Si ricorderà l’evento paradigmatico del summit Italia-Africa tenutosi presso la sede del Senato della Repubblica italiana a Palazzo Madama all’inizio del 2024. In quella occasione Moussa Faki, non uno qualunque bensì il Presidente della Commissione africana, aveva sostenuto che l’Italia “è il principale punto di arrivo dei flussi migratori”, e che con l’Africa “l’Italia condivide la preoccupazione di contenere i flussi migratori, la fuga di forza-lavoro giovane”. Secondo Faki, per fermare le ingestibili migrazioni di massa la via è quella di “trasformare in prosperità le aree economicamente depresse dell’Africa”.
Si sta avendo a che fare con l’inizio di una rivoluzione tolemaica delle prospettive geopolitiche, partendo dal coraggio della politica interna italiana. E pertanto non dovrà essere più la disperazione africana a girare attorno alle coste italiane attraverso i viaggi organizzati dalle criminalità transnazionali (per sommarsi al disagio delle classi meno abbienti d’Italia). Ma sarà il know–how gestionale nonché governativo dell’Italia a viaggiare, per insediarsi globalmente, e supportare gli ardui processi dialettici e produttivi delle democrazie, delle risorse naturali e dei capitali sociali di vari Paesi africani, e non solo. Se poi si pensa che, dopo la stagione apatica di Biden, Trump sembra direzionare l’interesse statunitense sul versante del Sud del mondo con un avvicinamento rilevante alle realtà dell’Africa, (anche) per non lasciare la Cina da sola a tessere strategie sul continente nero, l’Italia ha il ruolo di risvegliare l’Europa intera, per escogitare contenuti progressivi attraverso il Piano Mattei.
L’Italia si sta dimostrando sempre più patria italeuropea, pioniera capitale globale, nel cuore delle contraddizioni dell’amata Europa: in una versione evoluta, nel rispetto dell’antica tradizione romanistica, oltre che delle imprescindibili radici giudaico-cristiane.
Le cose non sempre sono lisce. Soprattutto quando c’è il fermento del cambiamento da perseguire, e il volere popolare da onorare, con in mano sempre e comunque i nobili strumenti di mamma legalità. La più paziente delle mamme.
In Italia appena un governo divergente intende riformare gli incrostati – e più volte incastrati – meccanismi di potere carsico, avallati da un buonismo internazionale militante, si agitano pulsioni partitico-corporative che di morale hanno ben poco.
L’Internazionale moralista e benpensante del buonismo, fra i suffumigi post-ideologici di un politicamente corretto nichilista capace di uccidere ogni evidenza politica, aggredisce l’empiricità dello Stato di diritto, per monopolizzare l’ermeneutica giudiziaria, e applicare conseguentemente il diritto in modo distorto, o costoso. Sempre più costoso per le tasche dei ceti medi e medio-bassi d’Italia. Si è giunti persino a piegare il tanto sacro garantismo costituzionale in un doppio binario procedimentale che, irragionevolmente, discrimina i requisiti d’accesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, a seconda della categoria umana a cui si appartiene.
Chi aspira ad ottenere il gratuito patrocinio, inviolabile come il diritto di difesa in sé nonché essenziale al concreto realizzarsi di quest’ultimo, deve dimostrare di avere un reddito annuo imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi, che non deve superare una determinata somma, così come fissata ed aggiornata periodicamente dalla decretazione del Ministero della giustizia. Nel presentare una legale richiesta di gratuito patrocinio occorre il codice fiscale. La Corte di Cassazione, però, con una pronuncia paradigmatica del 22 ottobre 2024 ha affermato che lo Stato – e quindi la collettività degli italiani – può pagare le spese legali di un cittadino extracomunitario anche senza che questi abbia fornito un proprio codice fiscale.
Il fenomeno della rinuncia pubblicistica a chiedere conto dei conti personali, beneficiando i soli extracomunitari che agiscono davanti ai tribunali o alle corti giudiziarie, è apparentemente innocuo. Ma in realtà per le casse dello Stato, e quindi per le tasche degli italiani dei ceti medi e medio-bassi, questo nuovo corso papabile della giustizia risulterebbe concretamente problematico. Senza dubbio dannoso.
Nel 2022 si era arrivati ad una situazione in cui i gratuiti patrocini per gli stranieri a spese dello Stato (e della collettività degli italiani) erano 48.937, con 39.021 casi in più rispetto ai numeri che si registravano venti anni prima. A parlare sono i dati di una nota relazione biennale del Ministero della giustizia al Parlamento italiano. Nel 2022, pertanto, la spesa solo per il gratuito patrocinio dello Stato in favore di persone straniere, che hanno usufruito di assistenza e rappresentanza legali gratuite, è stata di circa 52 milioni di euro, rappresentando più del 24% del totale delle somme destinate al gratuito patrocinio in generale.
L’Italia, per aspirare ad essere patria italeuropea di fermenti da sviluppare, dovrà far venire al pettine della legalità ogni dispendioso e discriminatorio doppio binario di garanzie giudiziarie. I meccanismi dei poteri carsici, sposati con il buonisticamente corretto di quest’èra di post-verità, nichilismi e post-ideologie, hanno un costo culturale e finanziario per le famiglie italiane.Ma tutto quanto sopra è stato analizzato, dolosamente o quantomeno colposamente, sfugge agli epigoni di un neo-leninismo che non ce l’ha fatta. Così come sfugge a chi, nascondendosi dietro ad interpretazioni psichedeliche e woke della gramsciana “egemonia culturale”, resta chiuso nelle proprie torri eburnee, digiune di realtà quotidiana. Così come sfugge a chi resta incastrato (e castrato) nelle mire geopolitiche dei carsici, grossi, subliminali destabilizzatori anti-occidentali.