L’attacco terroristico dello scorso settembre contro la missione cattolica di Chipene in Mozambico, in cui è stata uccisa la suora di origini italiane Maria De Coppi, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il paese africano.
Fino a quel momento però il Mozambico era finito in un cono d’ombra di disinteresse generale. Tuttavia, ciò che sta avvenendo in quell’area e gli interessi nazionali e gli attori in gioco dovrebbero porre il paese africano al centro delle nostre attenzioni e tra le nostre priorità strategiche di sicurezza nazionale, specialmente in un momento come quello attuale di grave crisi energetica e di aperta rivalità tra Occidente e Oriente in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Si è riacceso a livello globale uno scontro esistenziale ed egemonico di radici antichissime nella nostra civiltà, che vanno fin dai tempi dell’antagonismo tra civiltà greco-romana e persiano-partica, tra democrazia-libertà e autoritarismo.
CONTESTO LOCALE
L’ex colonia portoghese è stata a lungo il “campo di battaglia della Guerra Fredda” tra i due principali schieramenti Ovest ed Est: gli Stati Uniti, insieme al Sudafrica e Rhodesia (l’attuale Zimbabwe), sostenevano il Fronte di Resistenza Nazionale Mozambicana (RENAMO) contro l’espansione del comunismo in Africa, mentre l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese, sostenevano il Fronte per la liberazione del Mozambico (FRELIMO) di ispirazione marxista nella guerra di indipendenza, ottenuta nel 1975, e nella successiva guerra civile contro la resistenza.
La ventennale guerra civile terminò solo con la firma dell’Accordo di pace, siglato a Roma nel 1992, grazie anche alla mediazione del governo italiano e della Comunità di Sant’Egidio, seguito da una nuova costituzione e la nascita nel paese di una democrazia multipartitica e un’economia di libero mercato. Gli episodi di violenza tra le due fazioni sono però continuati negli anni per le contestazioni di brogli elettorali e infine per la mancanza del riconoscimento della legittimità della vittoria elettorale del presidente uscente Filipe Nyusi nel 2019 che ha portato ad un ritardo del disarmo e integrazione delle milizie nelle forze armate del governo secondo gli accordi del 2019, ostacolando così il processo di una pace duratura.
Secondo la Banca Mondiale, il Mozambico è uno dei paesi più poveri al mondo, ma è ricchissimo di risorse naturali. Una contraddizione che caratterizza tristemente i molti paesi africani. Il paese è esteso due volte e mezzo l’Italia con una popolazione di 31 milioni di abitanti a maggioranza cristiana. L’economia è dominata dall’agricoltura, a bassa resa, e dipende in gran parte dagli aiuti internazionali e dagli investimenti esteri per il proprio sviluppo. Il paese soffre di elevati livelli di povertà estrema, mortalità infantile, morti per HIV/AIDS – è la principale causa di morte nel paese –, disoccupazione e corruzione. È stato colpito negli ultimi anni da sempre più frequenti cicloni e siccità dovuti al cambiamento climatico che hanno causato migliaia di sfollati interni e ingenti danni economici e crisi alimentari.
INTERESSI ITALIANI
I principali partner commerciali del Mozambico sono il Sudafrica, da cui dipende per più della metà delle importazioni, India e Cina. L’Italia si posiziona al 7° posto, ma al 1° posto tra i paesi UE con un interscambio di circa 300 milioni di euro nel 2020.
Il Mozambico è il terzo detentore di riserve accertate di gas naturale in Africa, dopo Nigeria e Algeria, e si appresta a diventare uno dei maggiori esportatori mondiali di gas naturale liquefatto (LNG), secondo solo al Qatar.
Lo sviluppo del Paese è legato chiaramente allo sfruttamento delle risorse naturali, in particolare il gas naturale. L’Italia, attraverso l’ENI e Saipem, nel solco della tradizione avviata da Enrico Mattei nell’instaurare profondi legami di amicizia con i paesi africani, gioca un ruolo di primo piano.
È dell’ENI la scoperta nel 2010, insieme alla statunitense Anadarko, del giacimento off-shore di gas naturale tra i più grandi al mondo – stimato intorno ai 2.400 miliardi di metri cubi – lungo le coste della provincia di Cabo Delgado, nel nord del Paese, e gestito insieme alla statunitense ExxonMobil e la cinese CNPC. L’ENI ha sviluppato il primo impianto galleggiante di gas naturale liquefatto (LNG) mai installato nelle acque profonde del continente africano di un valore di oltre 3 miliardi di euro (Coral-Sul FLNG), che metterà in produzione 450 miliardi di metri cubi di gas. L’ENI e Saipem sono coinvolti nello sviluppo dei giacimenti on-shore nella provincia di Cabo Delgado, il cui operatore è la francese Total, con treni di liquefazione per un valore di oltre 5 miliardi di euro. L’ENI ha ottenuto nel 2019 i diritti di esplorazione e sviluppo in altri blocchi offshore nelle acque profonde dell’Angoche e del bacino Zambezi. Gli incassi generati dall’ENI sono stati oltre 9 miliardi di euro dal 2013, grazie alla sua politica di vendita di quote minoritarie nei giacimenti di idrocarburi scoperti.
Nel paese sono presenti circa 50 aziende italiane attive nel campo dell’energia, costruzioni civili, edilizia e altro.
L’Italia è il primo investitore a livello europeo nel paese, con circa 4 miliardi di euro di IDE negli ultimi dieci anni (2011-2020), dopo Paesi Bassi e Portogallo, e risulta il terzo investitore a livello globale, dopo Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti.
Oltre alle risorse energetiche, il paese è ricco di risorse minerarie, tra cui il carbone – è il secondo produttore di carbone dell’Africa dopo il Sudafrica –, titanio, bauxite, granito, gesso, grafite – componente essenziale per le batterie usato per le auto elettriche, di interesse per la politica di indipendenza dell’industria europea e americana dalla grafite di provenienza cinese –, rubini – il più grande giacimento al mondo di rubini che copre più della metà della produzione mondiale è localizzato a Montepuez nella provincia di Cabo Delgado.
Il Mozambico ha una posizione strategica ed è situato sulla rotta dei mercati asiatici, in particolare Cina e India. La lunga costa della provincia è tuttavia usata anche per il traffico di eroina proveniente dall’Afghanistan tramite i porti pakistani, per il contrabbando di avorio, legno pregiato e oro verso il mercato asiatico, in particolare Cina, e per il traffico di esseri umani provenienti dalla Somalia, via Nairobi (Kenya) e diretti in Sudafrica.
Appare evidente quanto il Mozambico, in particolare la provincia di Cabo Delgado, stia emergendo come una delle aree strategiche più importanti al mondo dove sono in gioco interessi geopolitici di primissimo piano. Al tempo stesso però si presenta come una “terra di nessuno”, dove l’avanzata del terrorismo di matrice islamica, il dilagare dei traffici illeciti e l’accesa competizione tra le potenze per il controllo delle enormi risorse naturali – utilizzate molto spesso come armi di pressione e di influenza nell’ottica della nuova Guerra Fredda e per finanziare le attività criminali e terroristiche – si stanno facendo sempre più accesi e spietati.
ESPANSIONISMO RUSSO, CINESE E TURCO IN AFRICA
Il Mozambico è uno dei paesi target per gli interessi strategici di Mosca e Pechino. L’espansionismo russo e cinese presenta un profilo di azione differente, ma ciò che accomuna i due è lo stesso obiettivo: il controllo delle risorse naturali/infrastrutture e portare il paese africano nella propria orbita di influenza.
Mosca è stata tra i più attivi nell’aver sostenuto la rielezione di Nyusi e si è accreditata come garante della sicurezza militare, tramite l’invio dei mercenari della Wagner nel contrastare i miliziani della resistenza e i jihadisti – operazione che è stata un fallimento in quanto ha acuito lo scontro contro i jihadisti attirati dal sentimento di rivalsa contro l’avversario storico in Siria e le violazioni dei diritti umani perpetuate contro i civili locali da parte dei mercenari russi (il numero di unità dispiegate si è ridotto con lo scoppio della guerra in Ucraina e il loro ricollocamento in Mali) –, e della sicurezza alimentare, tramite le forniture di grano. In cambio di ciò, Mosca ha ottenuto concessioni per lo sfruttamento del gas off-shore a favore della russa Rosneft, concorrente diretta dell’ENI, e dei voti utili (astensione) del Mozambico alle Nazioni Unite per evitare l’isolamento russo nel mondo. La Russia è il primo esportatore di armi in Africa, davanti a Stati Uniti, Francia e Cina, e mira a formare la futura classe dirigente africana per incrementare la sua influenza culturale e capitalizzarla geopoliticamente come ai tempi dell’Unione Sovietica.
Pechino, invece, anche se interessato all’aspetto securitario, privilegia l’ambito economico con ingenti investimenti, dapprima, nell’agricoltura con le “fattorie dell’amicizia” e, in seguito, nelle infrastrutture (ferrovie, ponti, dighe, ecc.) – fa impiego però della manodopera cinese a discapito di quella locale e senza trasferire alcun know-know, anche se la popolazione ha apprezzato l’attivismo cinese di fronte al tradizionale immobilismo locale e delle mancate promesse governative sulle opere pubbliche. In cambio di ciò, Pechino ha ottenuto lo sfruttamento delle foreste e dei mari pescosi, di cui il paese è ricco, e la sua presenza nell’industria del gas e mineraria. I piccoli pescatori mozambicani hanno però contestato il sovrasfruttamento dei mari ad opera dei grandi pescherecci oceanici cinesi che hanno distrutto le riserve ittiche e danneggiato l’economia locale. La Cina è il principale partner commerciale in Africa, ma molti paesi africani finiscono intrappolati nella “trappola del debito” e vittima del land grabbing che mette a rischio la loro sicurezza economica e alimentare.
Entrambe le potenze si caratterizzano per il totale disinteresse nel richiedere riforme in materia di rispetto dei diritti umani, di elezioni trasparenti e di lotta alla corruzione come contropartite per i propri investimenti e della propria attività di supporto al terrorismo, cosa che invece caratterizza l’azione degli attori Occidentali e che molto spesso è vista con diffidenza, avendo a che fare con governi egemonici il cui scopo è il mantenimento del potere e le aperture richieste potrebbero comprometterlo.
Anche la Turchia si è ultimamente interessata al Mozambico in base alla sua strategia di costruzione di avamposti dai porti arabi nel Mediterraneo, Sahel e dal Corno d’Africa fino al Capo di Buona Speranza. Nel 2017 è avvenuta la visita del primo presidente turco, Erdogan, nel paese africano che ha portato ad un incremento degli scambi commerciali e culturali. La Turchia si è offerta nel supporto nella lotta al terrorismo e nel fare da interlocutore con la comunità musulmana locale, cercando di accreditarsi come attore influente ed ottenere così contropartite nell’area.
AVANZATA DEL TERRORISMO ISLAMICO
La provincia di Cabo Delgado è situata sulla frontiera di due grandi religioni in Africa, Cristianesimo e Islam, e Mocimboa da Praia, città strategica per il suo porto commerciale, è posizionata sulla linea del fronte tra le due. La maggioranza della popolazione è musulmana, dedita al commercio e alla pesca, ed è localizzata lungo le coste già dai tempi dell’espansione araba e persiana avvenuta dall’VIII secolo, gli “swahili”, cioè dall’arabo sawahili «costieri».
La provincia è una delle più povere del paese, è caratterizzata dal peggiore tasso di alfabetizzazione con elevati livelli di disoccupazione. In essa prevale un forte sentimento di ostilità della popolazione locale verso il governo. Si sente esclusa dai benefici dallo sfruttamento delle risorse naturali locali ed è preoccupata di essere dislocata senza alcun indennizzo per la perdita delle aree adibite all’agricoltura e pesca, unica loro fonte di reddito.
Si aggiunge anche l’elemento etnico dovuto al fatto che il presidente Filipe Nyusi, di etnia makonde – gruppo etnico di cattolici, agricoltori e allevatori che si è impegnato col FRELIMO durante la guerra civile ottenendo così i maggiori benefici nel periodo post-indipendenza –, abbia favorito il proprio gruppo etnico a discapito degli altri negli appalti e nei contratti di sfruttamento delle risorse. La popolazione locale si è sentita poi esclusa dal governo il quale è situato dall’altra parte del paese a centinaia di chilometri di distanza nella capitale Maputo.
Questo forte risentimento ha rappresentato il terreno fertile per il radicamento religioso dei giovani, poveri e disoccupati. La possibilità di trovare nuove reclute, unita alle ingenti risorse energetiche, per un giro di affari di oltre 150 miliardi di dollari, minerarie e traffici illeciti presenti nella provincia di Cabo Delgado hanno attirato le attenzioni dello Stato Islamico che punta a penetrare nell’area per prenderne il controllo e cercare di creare in Africa il Califfato che non è riuscito a costruire in Medio Oriente.
Lo Stato Islamico si è dipinto fin da subito agli occhi della popolazione locale come il difensore della minoranza musulmana, emarginata e discriminata dal corrotto governo cristiano, e ha sfruttato le aspettative frustrate della popolazione locale.
Lo Stato Islamico non è stato però l’iniziatore degli attacchi terroristici in Mozambico. Tutto è iniziato in seguito all’uccisione nel 2012 del predicatore musulmano keniano Aboud Rogo Mohammed, sospettato di essere la mente dietro gli attentati alle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania del 1998 e degli attacchi al governo keniano da parte di miliziani islamici addestrarsi in Somalia. I suoi seguaci fuggirono prima in Tanzania per poi spostarsi ancora più a sud arrivando all’interno della provincia di Cabo Delgado in Mozambico nel 2017. Qui si unirono ai gruppi locali religiosi che condividevano lo stesso rigido islam che Rogo predicava.
Sotto la guida di Abu Yasir Hassan, l’attuale leader dello Stato Islamico in Mozambico (ISM), è iniziato l’arruolamento e l’addestramento di giovani locali come combattenti islamici, mandati a studiare in Tanzania nelle madrase (scuole islamiche), dove sono entrati in contatto con idee più radicali e violente, prendendo parte agli attentati nel paese. La risposta repressiva del governo tanzaniano ha dirottato i maggiori attacchi in Mozambico dove le forze disorganizzate dell’esercito governativo rappresentavano un debole deterrente. È emerso così il gruppo Ansar al-Sunna, localmente chiamato al-Shabaab ad imitazione solo nel nome di quello somalo, inserito in seguito nella lista nera dei gruppi terroristi del Dipartimento di Stato americano.
Gli attacchi si sono diffusi in molte città e villaggi nella provincia di Cabo Delgado caratterizzati da violenze, rapimenti, decapitazioni ed esecuzioni sommarie i cui bersagli erano le forze armate del governo e la minoranza cristiana nella provincia. Nel 2019, gli attacchi avvenivano ad una media di 15 al mese e nel 2020 si arrivò fino ad una media di un attacco al giorno.
Ansar al-Sunna e lo Stato Islamico hanno allacciato legami nel 2019, periodo in cui i miliziani dell’ISIS stavano fuggendo da Siria e Iraq per raggiungere nuovi fronti, tra cui il Mozambico, prima della caduta del Califfato.
Il 5 agosto 2020, il gruppo terroristico prese il controllo della città di Mocimboa da Praia e l’eresse a sua nuova capitale. Nell’area ha sede l’importante investimento del gas della francese Total, dove coopera anche l’italiana ENI e Saipem, le cui attività furono quindi sospese. Il governo mozambicano avviò quindi senza successo operazioni di controguerriglia, coadiuvate prima dal Sudafrica e in seguito dai russi della Wagner.
Il governo mozambicano ha dovuto quindi richiedere l’intervento di truppe ruandesi nel luglio 2021. Alcuni osservatori hanno segnalato una supervisione francese dell’operazione finanziata dalla Total a difesa delle infrastrutture, altri di sostegno militare da parte del presidente ruandese Kagame contro gli islamisti in cambio dei rifugiati politici ruandesi in Mozambico. Fatto che non è però piaciuto al Sudafrica, che è interessato ad avere un ruolo attivo nelle crisi regionali e ha quindi immediatamente guidato tramite la Comunità di sviluppo dei Paesi dell’Africa meridionale (SADC) un secondo contingente militare in Mozambico, denominato SAMIM (SADC Mission in Mozambique), coadiuvato anche da istruttori militari provenienti dall’Unione Europea, in particolare portoghesi. L’UE ha deciso di stanziare per il contingente SANIM oltre 50 milioni di euro tra “aiuti non letali” e di assistenza finanziaria nell’ambito della Missione di addestramento militare dell’Unione europea (EUTM Mozambico) e dello Strumento Europeo per la Pace (EPF), per addestrare ed equipaggiare le Forze Armate di Difesa Mozambicane (FADM) come forza di reazione rapida per azioni di antiterrorismo e di difesa delle compagnie estrattive italiana, francese e portoghesi con un mandato di due anni. Si è parlato anche di prendere in considerazione la fornitura di “armamenti letali” e di fornire finanziamenti di 20 milioni di euro per il contingente ruandese in Mozambico.
Il Sudafrica ha richiesto supporto anche agli Stati Uniti, che stanno già da tempo addestrando le forze locali, in quanto teme un allargamento dell’instabilità verso altri paesi della regione e per proteggere i propri investimenti nel settore energetico. In aprile, il governo degli Stati Uniti ha selezionato il Mozambico come “Paese prioritario per la strategia nazionale per prevenire i conflitti e promuovere la stabilità”. Una scelta dettata anche dalle difficoltà per gli USA di operare nella Repubblica Democratica del Congo, dove opera il gruppo terroristico islamico ISCAP, e l’asse con Maputo nella lotta al terrorismo è diventato quindi strategico.
I jihadisti hanno causato fino ad oggi la morte di oltre 4 mila persone e oltre 800.000 sfollati in fuga dalle loro case.
La rapida riconquista nell’agosto del 2021 di Mocimboa da Praia e i successi ottenuti nel 2022 grazie alla grande controffensiva avevano fatto ben sperare, anche se sono stati riportati diversi casi di violenze da parte delle forze governative verso la popolazione locale sospettata di complicità con i terroristi. Negli ultimi mesi però si è assistito ad una forte ripresa degli attacchi diventati ancora più violenti, non più rivolti alle comunità più grandi e meno isolate, ma alle aree più vulnerabili e minori con attacchi isolati e imboscate. I jihadisti si stanno ora spingendo sempre più a sud, come nel caso dell’uccisione della suora di origine italiane della missione cattolica nella provincia di Nampula, grazie anche a cellule dormienti, nel tentativo di aprire un nuovo fronte e drenare forze governative dalla provincia di Cabo Delgado. Lo Stato Islamico fa appello al jihadismo internazionale, attirando seguaci in particolare dalla Tanzania, Kenya e Somalia, contro quello che definiscono “crociate cristiane”.
CONCLUSIONE
Il Mozambico dipende fortemente dagli investimenti, dall’export e dagli aiuti internazionali che non possono però svilupparsi in un clima di instabilità e insicurezza, minandone la crescita infrastrutturale ed economica. Inoltre, i jihadisti vogliono imporre un nuovo ordine nell’area, in cui tutti devono abbracciare la loro ideologia fondamentalista e mirano ad espandersi non solo verso il sud del paese ma anche nelle aree limitrofe per creare il Califfato in Africa. L’ISM agisce in autonomia ma ha forti legami con l’ISGS nel Sahel, l’ISWAP in Africa Occidentale e l’ISCAP in quella centrale, operanti tutte sotto l’insegna dello Stato Islamico.
Per sconfiggere la minaccia jihadista non è sufficiente il solo intervento militare. Il Mozambico ha chiesto alla comunità internazionale un cambio di passo. L’appello è rivolto a colpire anche il flusso finanziario diretto ai jihadisti che alimenta la loro capacità. A questo scopo serve una maggiore cooperazione da parte dei partner internazionali che hanno maggiori capacità, strumenti e tecnologie nell’identificare le fonti e bloccare i flussi. È necessario agire in fretta perché i successi che ottiene lo Stato Islamico attirano ulteriori seguaci, fondi e armi alla sua causa.
Secondo alcuni analisti, dietro l’avanzata jihadista ci sono anche i trafficanti di droga, di pietre preziose e di legname che hanno interesse ad alimentare l’instabilità e gli assalti per riprendere il controllo del territorio che l’arrivo degli investimenti nel gas ha portato ad un maggiore presenza delle forze governative e dei contractor dei colossi energetici. Alcuni osservatori parlano anche di possibili interessi legati alla fazione del RENAMO, che proprio nel nord del Paese mantiene i suoi traffici.
L’Italia deve porsi importanti obiettivi da raggiungere nel paese: uno sfruttamento sostenibile delle risorse del paese; contribuire all’azione securitaria per eliminare la minaccia terroristica – in particolare a difesa della comunità cristiana presa di mira – e delle organizzazioni criminali legate ai traffici illeciti; investimenti mirati per lo sviluppo del paese, per combattere la povertà, la disoccupazione, le diseguaglianze e per garantire la sicurezza alimentare; sostenere una democrazia più inclusiva e trasparente.
Il paese africano rischia di diventare appannaggio non solo della criminalità e del terrorismo ma anche di potenze a noi rivali, tra cui Russia e Cina.
Bisogna batterli sul tempo e sul loro campo. Proporre risposte migliori, efficaci ed efficienti, che portino stabilità, sicurezza, benessere e sviluppo nel paese. Il governo italiano assuma un ruolo di primissimo piano e si impegni inoltre in un forte sostegno delle aziende italiane nelle gare di concessioni/appalti e nella loro sicurezza.
Facciamo un accordo monetario con il Mozambico e spediamo lì tutti i migranti che approdano sulle nostre coste. Aiuteremo questo paese a svilupparsi e saremo umani verso i migranti che troveranno in Mozambico un clima metereologico cui sono abituati ed una cultura simile alla propria cui non avranno difficoltà ad adeguarsi. Accordo col il Mozambico, come Johnson ha fatto con il Ruanda !!