Le rilevazioni e i sondaggi non sono di certo oracoli ma, a maggior ragione se recitano oramai tutti la stessa formula, testimoniano un trend. L’unica “costante”, da questo punto di vista e in tutti i sensi, continua ad essere Giorgia Meloni. Seconda negli indici di gradimento, dietro solo a Giuseppe Conte che usufruisce del potentissimio effetto dopante dello “stato di eccezione”; dunque prima leader di partito con Fratelli d’Italia in stato di grazia che da parte sua non solo aggancia il terzo posto occupato fino a qualche mese fa dai Cinque Stelle ma che rappresenta l’unico partito a crescere in un vero e proprio climax fin dal 4 marzo 2018.
Una progressione che – come abbiamo raccontato più volte dalle colonne de La Voce del patriota – si sviluppa secondo una direttrice del tutto singolare rispetto agli avversari ma anche agli alleati politici. La dimostrazione?
Sta proprio nella capacità di “sintesi” che la madrina sovranista continua a dimostrare di sapere incarnare ben oltre lo stadio delle enunciazioni di principio. Da un lato, cioè, paga il suo posizionamento radicato, non fluttuante né contraddittorio sui temi – dal Mes alla lotta a ogni forma di inciucio – dell’agenda sovranista e nazionale. Dall’altro la leader di FdI continua a percorrere il piano verticale, quello che intende mettere in correlazione alto e basso, elité e popolo, democrazia decidente e sovranità popolare: questo è perseguito senza pregiudizi (in politica estera, nell’approccio con le sfide europee) ma anche senza annacquamenti o cessioni nei confronti delle logiche del mainstream.
Il risultato? Una doppia cifra (l’ultimo sondaggio Ipsos dà FdI addirittura al 16%) stabilizzata sul trend di una crescita che mette d’accordo analisti e osservatori di ogni estrazione politica e latitudine geografica. Tutto questo – è bene ribadirlo – Giorgia Meloni sta riuscendo a farlo mantenendo ferma la posizione centrale (non centrista) che ha conquistato nel destra-centro. Ossia incarnando quella forma di chiave di volta, di cerniera, che ha permesso agli alleati “irrequieti” di ritrovare sempre un orientamento e un sentimento connessi con quell’elettorato popolare e maggioritario che non accetta né le edulcorazioni tecnocratiche celate dalla logica del “governissimo” né le scorciatoie meramente populiste e terziste (destinate – come l’esperienza gialloverde – ad aprire la strada solo al ritorno di una sinistra con tanto establishment e pochissimo popolo).
In nome di tutto ciò – e in attesa della grande manifestazione di luglio – il 2 giugno andrà in piazza “l’altra Repubblica”, ossia quell’Italia che l’opposizione non ha mai smesso di ascoltare e di intepretare, a maggior ragione durante questo lockdown che ha svelato ulteriormente la carica anti-sociale di un Pd che ha trovato nei 5 Stelle il corpo debole su cui innestare la peggiore sottomissione ai diktat franco-tedeschi e alla cultura anti-sviluppista trasversale alle sinistre.
Contro tutto questo il 2 giugno andrà in scena la prima dimostrazione di piazza dell’opposizione dopo aver concesso tanto – in termini di responsabilità nazionale – a un governo, e a un premier soprattutto, che invece di ricambiare le aperture hanno preferito perseguire la strada della campagna “anti-sovranista”, eurofila e assistenzialista: tutta giocata – ovviamente – sulle spalle dei contribuenti, dei lavoratori e del sistema delle imprese.
Come dicevamo, però, la maturazione della proposta politica di FdI non si “accontenta” della piattaforma della protesta. Né della proposta a fondo perduto (con Conte è proprio letterale il riferimento). C’è – e se ne sono accorte le centrali di elaborazione nazionali ed internazionali così come i grandi network di informazione – una visione strategica o, per dirla con un’espressione più aderente alla storia della destra, una visione organica dell’Italia e del suo ruolo nel mondo.
Un esempio? Sulle cosiddette linee di credito, accanto alla proposta dei “bond patriottici”, Meloni ha messo sul tavolo – sorprendendo gli osservatori – una soluzione che bypassa le misure (costose per l’Italia nonostante la propaganda del “giornale unico”) pensate dall’asse Merkel-Macron in senso migliorativo e più equo: i nuovi Diritti speciali di prelievo (Dsp) possibili in seno al Fondo Monetario internazionale.
Sintomo, anche questo, che la destra di governo proposta dal già ministro della Gioventù ha maturato una solida piattaforma sia sul fronte del rilancio della domanda interna sia sul campo di gioco dello scacchiere internazionale. Il minimo comun denominatore? Quello di sempre, da queste latitudini: l’interesse nazionale. Un ingrediente speciale ma che solo con questa “ricetta” sarà il moltiplicatore vero di consenso per una coalizione unita e un tesoretto garantito per un governo duraturo e forte. Che deve però ragionare in grande.
Ma per farlo deve prima di tutto ragionare bene.