Ormai lo sanno anche i sassi: per i “democratici” il perimetro della democrazia combacia con quello del loro partito. Tutto il resto è fascista. Siffatta visione del mondo è figlia di quel “complesso dei migliori” perfettamente spiegato dal Prof. Luca Ricolfi che fa giustamente notare come la sinistra spesso affermi di rivolgersi «alla parte migliore del Paese» presupponendo, cioè, che tutti gli altri siano i peggiori, quindi da buttare.
È ormai evidente che non si limitino a considerarsi “democratici”, ma che si siano persuasi di “essere loro stessi la democrazia”; delirio di onnipotenza da cui scaturiscono convinzioni bislacche come quella – giusto per citarne una – che debbano governare anche se perdono le elezioni. Per diritto acquisito. Ergo, se gli elettori votano per loro è il trionfo della democrazia, in caso contrario è fascismo.
Premessa necessaria per chiarire come mai a Bruxelles si comportino come se le elezioni non ci fossero state. Già, perché nonostante la “maggioranza Ursula” non abbia numeri sufficienti per fare alcunché a causa delle tremende scoppole incassate in Francia e Germania da Macron e Scholz, i signori della sinistra continuano imperterriti a ostentare il loro “complesso dei migliori”, aggrappandosi ad espedienti comunicativi patetici oltre che oggettivamente controproducenti come definire “estrema destra” Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, ovvero l’anima dei conservatori europei.
Va da sé che per la sinistra Enrico Letta sia il candidato perfetto per la presidenza del Consiglio europeo: nel 2013, anche se il suo partito non ottenne la maggioranza in Senato, fu nominato dall’equilibratissimo Napolitano (anch’egli Pd) presidente del Consiglio a capo dell’ennesimo governo di “larghe intese” poi, dopo la sosta annunciata dal celebre «stai sereno» rifilatogli da Renzi, il grande ritorno nel ruolo da segretario del Pd (anche in questo caso nominato, stavolta dal partito, senza passare dalle primarie).
Ruolo per il quale verrà ricordato soprattutto per il suo «occhi di tigre» pronunciato davanti ai suoi dirigenti per motivarli durante la campagna elettorale che, infatti, si concluse con la storica vittoria del centrodestra guidato da Giorgia Meloni e la Caporetto del suo partito e dell’immaginifico campo largo.
Sconfitta a cui l’ottimo Letta è arrivato nonostante la miriade di innovazioni portate in dote al Partito democratico, portando a compimento il percorso per passare dal bipolarismo al monopartitismo, dalla difesa della nazione a quella delle multinazionali (straniere, of course) e dalla tutela della famiglia alla dottrina woke. Il tutto, sullo sfondo della più moderna e concreta tra le battaglie di un Pd che si dimostra maturo e perfettamente calato nella complessità del 2024: la lotta al fascismo.
Insomma, Enrico Letta ha tutte le carte in regola per piacere all’internazionale della sinistra radical chic, e infatti non piace agli elettori. Ma in fondo, come direbbe il mitologico Armando Feroci di Carlo Verdone, «tutta ‘sta democrazia ce serve o nun ce serve?».