Kabul talebana chiama e una parte d’Italia risponde

Chissà chi sarà pronto ad accogliere il Cri du Coeur di Zabiullah Mujahid. Chi sarà mai costui? Il portavoce del nuovo governo di Kabul che, in una intervista a “Repubblica” di oggi, ha chiesto all’Italia di riconoscere il nuovo governo, aggiungendo di essere molto amico di Pechino e di essere interessato al progetto di via della Seta (che il governo Conte I, ricordiamolo, ha sottoscritto). Siamo sicuri che l’appello accorato sarà raccolto, perché in nessuno dei paesi che hanno partecipato alla guerra in Afghanistan come in Italia, esiste un cosi deciso e strutturato partito pro talebano. Non hanno del resto aspettato molto, visto che gli islamisti avevano ripreso Kabul da poche ore, e già si era alzato un coro al grido di “trattare con i talebani”. Passi per l’effimero ex ministro della Pubblica Istruzione del governo Conte II, che ha fatto da apripista, passi per Dibattista, ma insomma il ministro degli esteri Di Maio (prima di andare in spiaggia) si era rimesso alla “buona volontà” dei talebani e poi sono seguiti due ex presidenti del Consiglio, uno dei quali anche ex presidente della Commissione Ue: Prodi, e poi soprattutto Conte. E’ quest’ultimo il più coriaceo simpatizzante dei barbuti, visto che si è spinto a definire il loro regime “moderato” e “inclusivo” e a muovere parole di apprezzamento per la sharia.

La classe dirigente e politica che si è arresa alla Cina

E qui bisogna intendersi sul senso della parola “trattare” in questo contesto. Se sei Boris Johnson e hai truppe, uomini e molto altro li, e non li vuoi vedere massacrati, è ovvio che devi trattare: come ha fatto. Ma senza dirlo. Se invece non sei nulla, non hai responsabilità di governo, inoltre fai parte di un paese come l’Italia che in fondo aveva un contingente relativo lì,  il termine “trattare” assume un altro significato, ed è  una parola d’ordine lanciata, e chi deve intendere intenda. Chi sarebbe l’interlocutore misterioso? Non occorre essere il Tenente Colombo, e del resto lo spiega lo stesso Mujahid: è la Cina. Che si appresta ad essere la potenza protettrice del nuovo regime. Chi riconosce il regime vassallo, riconosce anche l’autorità dell’imperatore, in questo caso Xi Jin Ping. Ed è impressionante vedere come gli esponenti del partito cinese, i 5 stelle ma poi tutta una serie di figure trasversali, si siano subito mossi per chiedere di “non demonizzare” il nuovo regime islamista: da “abbraccia un cinese” a “tratta con un talebano” è stato un passo, evidentemente logico.

Esiste infatti un pezzo di classe dirigente e politica che si è arresa già da tempo alla Cina e che intravede un futuro dell’Italia come regime vassallo. Il tutto in nome del “realismo politico”, dicono, offrendo una visone macchiettistica di quelli che non vorrebbero trattare, come dei guerrafondai desiderosi di bombardare Kabul. Non è esattamente cosi.

Non è un caso neppure che il partito pro talebano, costituito da 5 stelle e una parte del Pd, sia anche quello più legato a un certo mondo cattolico (adulto?). Per il quale la sfida islamista all’Occidente sarebbe un pericolo esagerato, che in ogni caso non può essere affrontato con le categorie di Benedetto XVI (lo splendido discorso di Ratisbona) perché “divisive”. No, la sfida islamista, ammesso ci sia, per questi cattolici, va affrontata considerando il cristianesimo una “religione di pace e di dialogo”, una specie di religione politica privata dell’elemento di Verità e di trascendenza. Con lo stesso approccio, la medesima porzione di mondo cattolico pro talebana è quella molto dialogante con la Cina: peccato che per ora questa strategia  abbia portato all’aumento esponenziale dei cristiani uccisi nei paesi islamici e alla ulteriore ghettizzazione dei cattolici in Cina. Si spera che i cattolici adulti credano almeno nella “divina provvidenza”.

Il partito pro talebano

Peccato poi che Il partito pro talebano, essendo tale per una ragione di scelta di campo geo politica, si infili poi in una serie di paralogismi. I pro talebani sono infatti favorevolissimi ad accogliere il più possibile di profughi afgani: dove non è chiaro perché essi fuggano da un regime “abbastanza inclusivo” e con cui si vuole “trattare” e magari riconoscere a livello diplomatico. L’altro paralogismo riguarda i diritti delle donne: il partito pro talebano, essenzialmente progressista, si batte a favore di tutte le rivendicazioni del femminismo radicale e della galassia Lgbt. Purtroppo per loro, però, il regime “abbastanza inclusivo” fustiga le donne e impicca gli omosessuali: e se si seguissero le politiche del partito pro talebano, essenzialmente immigrazionista, in pochi anni in molti quartieri italiani le donne dovrebbero girare con il burqa. Non è il vaticinio delirante di qualche xenofobo: è quello che tutti possono vedere passeggiando per Londra, Parigi, Rotterdam, Bruxelles e ora anche Malmo. Certo poi, il loro regime preferito, che non è quello talebano, ma il suo nuovo protettore, quello cinese, gli islamici li mette nei campi di concentramento e quanto ai gay, stende le liste di proscrizione delle Università. La sinistra dacché esiste fa sempre a pugni con la logica formale e il principio di non contraddizione: ma in questo caso la porzione di sinistra pro talebana nella ipocrisia ci sguazza con piacere.

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Marco Gervasoni
Marco Gervasoni
Marco Gervasoni (Milano, 1968) è professore ordinario di Storia contemporanea all’Università degli Studi del Molise, editorialista de “Il Giornale”, membro del Comitato scientifico della Fondazione Fare Futuro. Autore di numerose monografie, ha da ultimo curato l’Edizione italiana delle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia di Edmund Burke (Giubilei Regnani) e lavora a un libro sul conservatorismo.

1 commento

  1. Meglio di così..preciso a 360 gradi. Poi mi fanno ridere quando separano afgani e talebani, come se fossero di due diverse nazioni. Vorrei sapere come fanno a distinguerli..sempre in forma Professore. Vorrei scrivere di più ma non so se leggono anche altri :))

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