Lo scorso 4 giugno, la Commissione europea, insieme alla Banca Centrale Europea, ha annunciato che la Bulgaria ha soddisfatto i criteri per adottare l’euro dal 1° gennaio 2026. Il Paese potrebbe dunque diventare il 21° Stato a far parte dell’Eurozona.
Eppure, questa notizia, invece di unire la cittadinanza, ha creato non poche divisioni al suo interno. Tant’è che migliaia di cittadini sono scesi in piazza per difendere la propria moneta, con la precisa volontà di dire no “all’eurocolonialismo”.
E in effetti, a ben vedere, se da un lato l’aver raggiunto i requisiti tecnici necessari per adottare l’euro è da interpretare come un fattore positivo, dall’altro vanno debitamente tenuti in considerazione anche i possibili effetti indesiderati che questo cambiamento potrebbe produrre sull’intera società. Anche perché, una volta entrati nell’Eurozona, tornare indietro è praticamente impossibile.
Tali effetti indesiderati rischiano, inevitabilmente, di colpire le fasce sociali più deboli, che temono un innalzamento dei prezzi a seguito dell’adozione dell’euro. Una situazione che potrebbe portare rapidamente a una crisi non facilmente risolvibile.
La Bulgaria è tra i Paesi economicamente più fragili dell’Unione. Gettarla nella mischia dell’euro senza adeguati strumenti di difesa economica e sociale potrebbe quindi equivalere a condannarla a una nuova dipendenza. L’ingresso nella moneta unica non è detto che porti benessere automatico- al contrario, potrebbe accentuare le disuguaglianze, come già accaduto con la Grecia. E se domani l’economia bulgara dovesse crollare sotto il peso delle regole europee, chi si assumerà la responsabilità?
Ecco perché sarebbe più che giusto dare ai cittadini la possibilità di esprimersi su una questione così delicata e importante. Se sono d’accordo, se hanno dubbi, se ritengono necessario attendere ancora un po’. Così è accaduto in Svezia, dove nel 2003 un referendum ha bocciato l’adozione dell’euro. In quel caso, quindi, il popolo ha potuto far sentire le proprie ragioni e, soprattutto, è stato ascoltato.
Ciò, purtroppo, non è stato possibile a Sofia, dove la proposta di referendum è stata bloccata dallo stesso Parlamento, apparendo quasi come un modo per zittire la volontà popolare.
A rafforzare questa ipotesi, c’è il fatto che il governo bulgaro sembra intenzionato a ottenere il via libera dalle istituzioni europee a tutti i costi, tanto che, come riportato da Politico, sembrerebbe aver addirittura ‘giocato’ su alcuni dati statistici per raggiungere tale scopo, presentando tassi di inflazione più adeguati a soddisfare le richieste di Bruxelles.
Non dovrebbe però essere questo il clima con il quale accogliere la moneta unica dell’Unione. Perché il progetto europeo a cui dovremmo guardare non è un superstato che impone, ma una comunità di nazioni sovrane che cooperano. E una vera Europa dovrebbe rispettare il diritto dei popoli a scegliere il proprio destino. Anche, e soprattutto, quando si tratta di moneta, di economia. Di libertà e di identità.
Ed è proprio questo il punto. Troppo spesso si parla di “criteri di convergenza”, ma mai del criterio più importante: il consenso popolare. E qui la vera domanda è: la Bulgaria ha davvero scelto? I bulgari vogliono davvero entrare nell’euro?
Il futuro della Bulgaria dovrebbe essere nelle mani dei bulgari. Non nei documenti opachi della Commissione, non nei corridoi del Parlamento europeo, non nei diktat di Bruxelles. Se davvero l’ingresso nell’euro è una scelta vantaggiosa, allora si dia al popolo la possibilità di pronunciarsi, prima di intraprendere qualsiasi azione. Si indicano referendum. Si ascolti la piazza. Si rispetti la sovranità.
Perché altrimenti il rischio è che, senza il fondamentale diritto di scegliere, l’Europa smetta di essere una casa comune e diventi una gabbia dorata- in tutti i sensi. E la moneta unica, anziché unire, finisca per dividere.