Fin dai primissimi giorni della rivoluzione del 1979, il destino della Repubblica Islamica si è intrecciato con quella che i suoi governanti chiamano “la causa palestinese”. Khomeini mirava a creare una base jihadista nella regione per esportare la Rivoluzione Islamica e la sua ideologia in tutto il mondo. Egli si oppose a qualsiasi accordo di pace tra i paesi arabi e Israele — arrivando perfino a definire gli Accordi di Camp David un “tradimento ai musulmani”.
La questione palestinese era uno dei pochi punti in comune tra sinistra, comunisti e islamisti — proprio quell’alleanza che Mohammad Reza Shah Pahlavi definiva “l’empia alleanza del rosso e del nero.”
Tuttavia, questo allineamento non nasceva né dalla compassione per il popolo palestinese né dal desiderio di migliorare le condizioni della loro vita. Al contrario, la causa palestinese è stata costantemente usata come strumento per opporsi alla democrazia e ai valori occidentali.
Questa questione si è talmente intrecciata con l’ideale di esportazione della Rivoluzione Islamica e con l’ideologia di Khomeini che il suo costo è stato il dispendio incontrollato delle risorse nazionali e della ricchezza del popolo iraniano.
Nel frattempo, il regime non ha mostrato alcuna considerazione per l’impatto delle sanzioni, l’isolamento internazionale o le difficoltà quotidiane affrontate dalla popolazione all’interno del paese.
Qual è stato il costo di questa politica?
Miliardi di dollari provenienti dalla ricchezza nazionale iraniana sono stati spesi per finanziare e armare gruppi terroristici attivi in tutto il Medio Oriente sotto la bandiera della “resistenza” — gruppi che agiscono come strumenti delle politiche di Teheran e la cui missione è mantenere la regione mediorientale in uno stato permanente di caos e conflitto.
Nel frattempo, il popolo iraniano è logorato da un’inflazione crescente, dalla disoccupazione e da una repressione implacabile.
La Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche, il braccio esterno del regime, è stata il canale principale per il trasferimento di denaro, armi e addestramento a gruppi terroristici come Hamas, la Jihad Islamica e Hezbollah. Un sostegno che è stato ripetutamente denunciato e sanzionato da organizzazioni internazionali e dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti.
Come conseguenza di queste politiche, l’Iran è caduto in un isolamento senza precedenti: sanzioni paralizzanti, crisi economica e distruzione ambientale sono solo una parte delle conseguenze dirette.
Ma il prezzo più alto è stato pagato dal popolo nelle strade dell’Iran: dove le voci di protesta contro il regime e la richiesta di rovesciare la Repubblica Islamica e porre fine a questa pericolosa ideologia sono state accolte sotto colpi di arma da fuoco.
I rapporti delle Nazioni Unite e di Amnesty International hanno documentato l’uccisione di bambini e adolescenti come Kian Pirfalak — bambini che, disarmati, sono stati colpiti e uccisi dalle forze del regime durante la rivolta nazionale del popolo iraniano contro la Repubblica Islamica nel 2022.
Al contrario, le stesse persone che oggi alzano la voce e organizzano proteste in tutto il mondo per la morte dei bambini a Gaza restano silenti di fronte al sangue versato dai bambini iraniani.
E questo silenzio non è un caso.
Se la motivazione fosse umanitaria e per la difesa dei bambini e degli adolescenti iraniani (brutalmente uccisi dal regime) sarebbe per logica anch’essa all’ordine del giorno di questi gruppi per i diritti umani.
Ma quando le proteste violente in Occidente nascono esclusivamente da interessi politici specifici — e quelle stesse voci rimangono silenti di fronte ai crimini commessi da un regime che è un sostenitore diretto di Hamas — non si può più parlare di “azione umanitaria.”
Questo doppio standard dimostra che molte di queste manifestazioni non nascono da genuina solidarietà, ma da propaganda politica e mediatica.
Il popolo iraniano ha chiaramente compreso questa verità:
La “causa palestinese” è uno strumento per la Repubblica Islamica per mantenere vivo il proprio potere e tenere il Medio Oriente in uno stato costante di crisi e caos.
È stata proprio questa consapevolezza a far risuonare nelle strade dell’Iran il seguente slogan — uno slogan che nessun media occidentale ha ripreso ma che ha addirittura censurato:
“Ne Gaza, ne Libano dò la mia vita per l’Iran.”
E oggi, quando alcuni ricorrono alla violenza e alla distruzione in nome della difesa della Palestina, bisogna chiedersi:
Li abbiamo mai sentiti condannare Hamas, anche solo una volta?
Hanno mai menzionato il nome del regime che da anni alimenta queste guerre con i soldi del popolo iraniano?
La risposta è chiara: no, mai.