Secondo certi analisti che qualcuno si ostina a considerare autorevoli, per conquistare il plauso del Meeting di Comunione e Liberazione il Presidente del Consiglio avrebbe dovuto smussare gli angoli, indossare un abito “moderato” e sacrificare quella cifra identitaria che ne ha segnato il percorso politico. Una previsione che tradisce più i desideri degli autori che una reale comprensione dei fatti.
Peccato che, a Rimini, non si sia vista alcuna maschera. Nessun compromesso studiato per compiacere la platea. Al contrario, Giorgia Meloni ha scelto la via dell’autenticità, riaffermando con chiarezza i valori che la sinistra vorrebbe confinare ai margini, ma che restano il cuore pulsante dell’Italia e dell’Occidente: Dio, Patria e Famiglia.
Quella di Giorgia è un’autenticità che richiama le parole di Sant’Agostino: «non andare fuori di te, rientra in te stesso: nell’interiorità abita la verità». Meloni non ha cercato fuori di sé l’approvazione facile, ma ha attinto alla verità profonda della sua identità politica e personale, parlando con la forza di chi resta fedele a se stesso.
Non sono slogan, ma radici. Valori che milioni di italiani vivono, tramandano e incarnano ogni giorno. Fondamenta che sostengono la nostra civiltà, minacciate dal demone del wokismo, che tenta di sostituirle con un’ideologia degenerata in malattia mentale, capace solo di generare individui senza identità, senza appartenenza, senza futuro.
Il passaggio sulla genitorialità è un manifesto di coraggio. Con parole limpide e taglienti, Meloni ha smantellato i dogmi ideologici che per decenni hanno dipinto la famiglia come un ostacolo e i figli come un peso:
«Per troppo tempo cattivi maestri hanno bollato la genitorialità come un retaggio arcaico, da combattere in nome di una presunta modernità. Ma cosa c’è di moderno nell’affittare l’utero di una donna povera? Nel privare un bambino, per legge, di un padre o di una madre? Nel sostenere che i figli siano nemici dell’autorealizzazione o, peggio, un danno per il pianeta? Queste non sono idee progressiste: sono deliri che nascono dall’ignoranza. E con l’ignoranza non si costruisce alcuna modernità».
Da qui emerge una linea netta: non cedere al ricatto dell’omologazione al pensiero unico, ma restituire centralità a ciò che tiene unita una comunità; non inseguire mode culturali effimere, ma difendere la solidità di valori che hanno resistito al tempo.
Il discorso di Rimini non è stato solo un intervento politico: è un atto culturale che trascende la contingenza. Dimostra che l’identità non è un fardello, ma il pilastro su cui costruire un futuro di libertà e prosperità. È la coerenza di chi, come insegnava Sant’Agostino, trova la verità tornando alla propria interiorità, senza piegarsi alle sirene dell’approvazione a buon mercato. E chi si è azzardato a immaginare un intervento annacquato dimostra di non conoscere affatto il presidente del Consiglio. La storia personale e politica di Giorgia Meloni insegna che non ha mai imboccato comode scorciatoie, ma ha sempre scelto la strada più lunga e spesso più tortuosa, in nome di un principio sconosciuto a molti – troppi – mercenari della politica e della penna: la coerenza.