La cultura dell’assassinio

È possibile che un sondaggio possa prevedere un omicidio? Sei mesi fa, Charlie Kirk pubblicava un post su X, commentando un sondaggio del Network Contagion Research Institute (NCRI) sulla diffusione della violenza politica sui social, dove si arrivava persino a legittimare o applaudire omicidi in nome di un distorto ideale di giustizia sociale. Oggi, quel post suona tragicamente profetico, dopo l’omicidio dello stesso Kirk, avvenuto il 10 settembre 2025, per mano di un cecchino durante un dibattito pubblico all’Università dello Utah.

Cosa riportava lo studio NCRI, condotto da un istituto non schierato politicamente e collegato ai laboratori di ricerca di università come Rutgers, University of Maryland e University of Miami?

Joel Finkelstein, principale autore del report, dichiarava in un’intervista a Fox News: “Ciò che un tempo era culturalmente tabù è diventato accettabile. Stiamo assistendo a un netto cambiamento: glorificazione, aumento dei tentativi e mutamento delle norme, tutti convergenti in quella che definiamo ‘cultura dell’assassinio’.” La ricerca, condotta su un campione rappresentativo di 1’264 adulti americani, stratificato per riflettere i dati demografici dell’ultimo censimento nazionale USA, rivelava dati inquietanti. Il 38% degli intervistati riteneva almeno in qualche modo giustificato assassinare Donald Trump, mentre il 31% pensava lo stesso di Elon Musk. Tra gli elettori di sinistra, queste percentuali salivano al 55% per Trump e al 48% per Musk. Questi numeri, sottolinea il report, non sono opinioni isolate, ma parte di un sistema di credenze interconnesso, legato a quello che viene definito autoritarismo di sinistra.

Il sondaggio NCRI, poi, va oltre l’esplorazione della legittimazione dell’omicidio politico e analizza anche il sostegno ad altre forme di violenza. Circa il 40% degli intervistati esprimeva un certo grado di supporto alla distruzione di concessionarie Tesla, un esempio di come l’ostilità verso figure come Musk si traduca in tolleranza per atti vandalici contro proprietà private. Questo fenomeno, secondo il report, si intreccia con una più ampia accettazione di azioni distruttive come mezzo di protesta, specialmente tra chi si identifica con ideologie di sinistra. Il sostegno a tali atti, infatti, risultava statisticamente più alto tra i left-leaning, con un’incidenza del 41% superiore rispetto agli intervistati di destra: questi dati suggeriscono che la violenza politica vada oltre la sfera personale estendendosi a simboli materiali percepiti come rappresentanti di un sistema avversario. In California, ad esempio, un’iniziativa legislativa denominata “Luigi Mangione Access to Health Care Act” ha fatto discutere per il suo nome, che richiama l’autore dell’omicidio del CEO di United Healthcare, Brian Thompson, segnalando come la glorificazione della violenza stia permeando anche il discorso pubblico istituzionale.

Per comprendere appieno questa deriva, è utile guardare alla storia recente della violenza politica negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni, il paese ha vissuto episodi significativi che hanno segnato un crescendo di polarizzazione. L’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, guidato da gruppi estremisti di destra come i Proud Boys e i seguaci di QAnon, ha rappresentato un punto di svolta, mostrando come le teorie cospirative diffuse online possano tradursi in azioni violente contro le istituzioni democratiche. Allo stesso modo, le proteste seguite all’uccisione di George Floyd nel 2020, pur nate da una giusta indignazione, hanno visto episodi di vandalismo e saccheggi in diverse città, spesso attribuiti a frange anarchiche o di estrema sinistra, come il Portland Youth Liberation Front. Sebbene questi eventi differiscano per motivazioni ideologiche, condividono un tratto comune: l’uso della violenza come strumento per esprimere dissenso o imporre un’agenda politica. Altri episodi, come le sparatorie di massa motivate da ideologie suprematiste (es. la strage di El Paso nel 2019) o gli attacchi a figure pubbliche, come il tentato omicidio della deputata Gabrielle Giffords nel 2011, evidenziano come la violenza politica sia un fenomeno trasversale, alimentato da una crescente sfiducia nelle istituzioni e da una retorica sempre più divisiva.

Tornando al report NCRI, le radici di questa cultura dell’assassinio vengono individuate in un mix di radicalismo ideologico e sentimenti di impotenza, specialmente dopo sconfitte elettorali contro figure percepite come indegne, come Donald Trump, il cui ritorno alla Casa Bianca non è mai stato accettato da una parte degli avversari. “Quando le persone sentono di non avere voce, futuro o una leadership che offra una visione, diventano vulnerabili all’ideazione radicale. È allora che i meme si trasformano in autorizzazioni per la violenza vera e propria”, sottolinea l’NCRI.

Un parallelo storico emerge con l’Italia degli anni di piombo. Francesca Mambro, esponente dei NAR, raccontava la rottura con il MSI dopo i fatti di Acca Larentia nel 1978: “Quell’atteggiamento tiepido e imbarazzato nei confronti di chi aveva ucciso Stefano Recchioni significava che erano disposti a sacrificarci pur di non mettersi contro le forze dell’ordine. Non poteva più essere casa nostra. Per la prima volta i fascisti spararono contro la polizia. Fu un punto di non ritorno.” Come allora in Italia, oggi negli USA lo scollamento dalle forze politiche tradizionali, percepite come incapaci di fronteggiare avversari ritenuti pericolosi, spinge verso l’estremismo violento.

La delegittimazione dell’avversario, dipinto come despota, porta prima a una tolleranza inconscia della violenza, poi al sostegno ad azioni estreme, come l’attentato a Trump in Pennsylvania nel 2024 o il già citato omicidio di Brian Thompson per mano di Luigi Mangione. I social network, come BlueSky o altre piattaforme, amplificano queste tendenze, offrendo un’eco immediata a milioni di utenti che legittimano la violenza politica. Il report NCRI evidenzia come piattaforme come BlueSky, inizialmente considerate alternative sicure a Twitter, siano diventate terreno fertile per l’estremismo, con oltre 2 milioni di interazioni su post che glorificano figure come Mangione o attaccano Trump e Musk.

La censura, però, non è la risposta. L’esperienza di piattaforme come Facebook e Twitter durante il Covid-19, con rimozioni di post e sospensioni di account per contenuti ritenuti non veritieri, ha solo spinto verso canali alternativi meno controllati, come VK o Telegram. La vera risposta al problema risiede, invece, in leadership politiche più autorevoli, capaci di non seguire semplicemente l’istinto degli elettori, ma di condannare esplicitamente queste derive e riaffermare una norma morale nei rapporti politici. Questa cultura dell’assassinio non si smantellerà facilmente, servirà un impegno collettivo per un futuro che non esalti la violenza politica potrebbe frenarla. Come conclude il report NCRI, serve ricordare che esiste un futuro per cui valga la pena impegnarsi, senza cedere alla tentazione di giustificare l’omicidio o la distruzione come strumenti di lotta.

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Matteo Gianola
Matteo Gianola
Fin da piccolo amavo scrivere e comunicare quello che pensavo e quello che sapevo (potrei dire anche quello che credevo di sapere) perché solo dal confronto può innescarsi una crescita personale e, anche, collettiva. Dopo la laurea in economia e l’inizio del lavoro in banca ho tentato di seguire quello che amavo, iniziano a scrivere per testate come the Fielder, Quelsi, e l’Informale fino a giungere a In Terris e, oggi, pure qui. Mi occupo principalmente di economia, politica e innovazione digitale, talvolta sconfinando anche nella mia passione, la musica.

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