La Destra e lo Stato: Una Visione per il Futuro

Venerdì scorso a Catanzaro, su iniziativa di Azione Universitaria e altre associazioni universitarie, è stato presentato il volume di Spartaco Pupo, “La destra e lo Stato” (Eclettica 2025), alla presenza, tra gli altri, dell’On. Wanda Ferro, Sottosegretario di Stato al Ministero dell’Interno, che ha concluso i lavori con un intervento che qui di seguito pubblichiamo integralmente.

Voglio complimentarmi con gli organizzatori di questo incontro e con Spartaco Pupo per avere dato alla luce quest’opera importante, frutto di vent’anni di studio e riflessione: “La destra e lo Stato” non è un instant book, non una relazione frettolosa agli eventi del momento, ma il risultato di un lavoro rigoroso, metodico, attraversato da una costante: la fedeltà a un pensiero, a una visione, a una responsabilità intellettuale. Questo libro non rincorre l’attualità, ma la interroga. Non si limita a raccontare il presente: lo sfida, con il coraggio delle idee.

Pupo ci consegna un’opera che nasce da una precisa consapevolezza. Che cosa manca oggi alla destra italiana, soprattutto alla sua componente più identitaria, più colta, più profonda? Un punto di riferimento. Una grammatica comune. La determinazione ad affermare una visione complessiva dello Stato, della società, dell’individuo. In un tempo in cui l’egemonia culturale si è esercitata quasi esclusivamente a sinistra, e in cui la destra ha spesso oscillato tra l’emulazione e la reazione, questo libro rappresenta una bussola. E lo fa con un merito straordinario: riportando al centro il concetto di Stato nazionale, come perno ideale e storico dell’identità della destra italiana.

Permettetemi un inciso – a proposito di egemonia culturale – per fare una riflessione sugli attacchi subiti prima dal ministro Sangiuliano e oggi dal ministro Giuli, fatti oggetto di aggressioni verbali e mediatiche, insulti e delegittimazioni anche nelle sedi istituzionali da parte di attori, comici e sedicenti intellettuali di sinistra.

La nuova frontiera della resistenza culturale riguarda i finanziamenti per il cinema, e non è un caso. Per decenni il caravanserraglio del cinema di sinistra ha drenato milioni di euro di soldi pubblici per finanziare film che nessuno vedeva; il pretesto è quello di sostenere quella cinematografia che non potrebbe reggere alla sfida del botteghino perché troppo “colta” per il popolino, ma la realtà è che con questa scusa attori e registi hanno guadagnato milioni per girare pellicole autoreferenziali – è facile immaginare che solo le briciole finiscano alle maestranze che lavorano sul set – e che hanno ricambiato tanta generosità con altrettanto generose prese di posizione politiche, endorsement, allarmi e lamentosi guaiti contro la destra rozza, incolta, e fascista. Ecco questa compagnia di giro è la “cultura” della sinistra, incapace di elaborare un pensiero nuovo, appiattita sulla ideologia woke, sul cosmopolitismo, sulla retorica dei diritti.

Pochi giorni fa l’ha ben descritta Alessandro Gnocchi in un’analisi sul Giornale, che condivido in pieno: “Persa la battaglia politica, azzoppata la cultura, la sinistra gode di una posizione ereditata più che meritata. Invece di fare una bella autocritica, se non di facciata, mantiene intatta la convinzione di essere superiore alla destra in ogni campo. Per coltivare una simile illusione non c’è neppure bisogno di studiare e di produrre qualcosa di significativo. Non servono neppure una visione della società e una idea di futuro. Basta esserne convinti e ripetere a pappagallo le parole d’ordine, al massimo aggiornate al politicamente corretto.

Per questo, a un certo punto, il comico è entrato a pieno titolo nell’agone. Il comico italiano fa politica, è il leader del partito dei buoni…”. 

Di fronte a questo vuoto di elaborazione culturale, non è un caso che arrivi questo libro, che rappresenta in un certo modo una sfida per una destra che invece vuole tracciare una visione della società e una idea di futuro.

Spartaco Pupo ci ricorda i motivi che l’hanno spinto a rendere pubblico questo lavoro: offrire un punto fermo a una comunità culturale e politica spesso smarrita; valorizzare un momento storico irripetibile, in cui la destra è forza di governo e non solo di opposizione; e infine, contribuire, con l’umiltà dello studioso, al dibattito sulle radici e sul futuro di una tradizione che non vuole estinguersi nella banalità del presente.

Lo Stato, nella visione che Pupo ricostruisce e difende, non è un nemico da abbattere, come pretendono le derive anarco-liberiste e le utopie mondialiste. E non è nemmeno una burocrazia senz’anima, come vorrebbero ridurlo le tecnocrazie contemporanee. È una forma, ma anche una sostanza, è ordine, ma anche spirito. È razionalità giuridica, ma anche comunità di destino. Lo Stato non ha nulla a che fare con il centralismo burocratico, con il dirigismo, con l’autoritarismo. Lo Stato per la destra è stato – e deve tornare a essere – la sintesi tra l’individuo e al nazione, tra la libertà e l’appartenenza, tra il tempo presente e la storia.

È questa la grande eredità, spesso dimenticata, che viene dal pensiero statualista del Novecento, da Costamagna, da Rocco, da Panunzio, da Evola. Da Giovanni Gentile, filosofo dello Stato, sì, ma ancor più filosofo della libertà incarnata. Gentile che concepiva lo Stato come espressione della volontà etica di un popolo. Non era per lui una costruzione esterna, meccanica, ma un’intima forma di vita. Scriveva che lo Stato è “dentro di oi”, è la nostra stessa coscienza che si realizza nel vivere comune. Un’idea attualissima, se si pensa allo smarrimento che oggi domina le democrazie occidentali.

Viviamo infatti in un tempo in cui lo Stato nazionale è sotto attacco. Lo è da parte del globalismo economico e finanziario, che vorrebbe ridurre le nazioni a spazi neutri, privi di identità, funzionali solo agli interessi dei mercati. Lo è da parte della governance tecnocratica europea, che pretende di sostituire la volontà dei popoli con il dogma dei parametri. Lo è, infine, da una cultura del sospetto, che vede nello Stato sempre e comunque una minaccia alla libertà. Ma il paradosso è che, mentre si teorizza la fine degli Stati, nel mondo il loro numero continua ad aumentare. E questo ci dice qualcosa: che il bisogno di identità, di protezione, di appartenenza, non si è estinto. Al contrario: torna a chiedere forma e riconoscimento.

In questo scenario, la destra italiana ha un compito storico. Non quello di abbandonarsi al nostalgismo, né quello di dissolversi nel pragmatismo senza valori. Ma quello di riappropriarsi del suo ruolo naturale: quello di custode dell’ordine, dell’identità, della comunità. Uno Stato nazionale che non sia né oppressivo né debole, ma forte perché giusto, autorevole perché condiviso. Uno Stato che difenda i confini, certo, ma che sappia anche dare senso e direzione alla libertà. Uno Stato che sappia coniugare giustizia sociale e responsabilità individuale, evitando sia la deriva collettivista che quella atomistica.

Penso ad esempio al dibattito sulla cittadinanza e sullo ius soli, che non è solo una questione giuridica: è lo specchio di una visione del mondo. Per noi la cittadinanza non è un atto burocratico, ma un riconoscimento culturale, identitario, morale. È memoria collettiva. Lo stesso vale per la critica all’élite tecnocratica: non per disprezzo della competenza, ma per riaffermare che nessuna competenza può sostituire il legame organico tra il popolo e le sue istituzioni.

Ecco allora il senso profondo di questo libro. “La destra e lo Stato” non è un titolo astratto, ma una sfida concreta. Ci chiede di tornare a pensare, a discutere, a progettare. A non avere paura delle parole forti, delle idee scomode, delle domande radicali. Perché solo una destra che pensa potrà essere una destra che governa davvero.

Perché – per citare Evola in conclusione di questo mio intervento – “la legittimazione più alta e reale di un vero ordine politico, epperò dello stesso Stato, sta nella sua funzione anagogica: nel suo suscitare e alimentare la disposizione del singolo ad agire e pensare, a vivere, lottare ed eventualmente a sacrificarsi in funzione di qualcosa che va di là della sua semplice individualità”.

Oggi, in un’epoca di smarrimento culturale e di rovine ideali, abbiamo bisogno di affermare una diversa visione di Stato non solo per restare in piedi su quelle rovine, ma per ricostruire idee, appartenenze, identità. E soprattutto per ricostruire lo Stato, non come macchina, ma come forma vivente dell’identità di un popolo.

Grazie a Spartaco Pupo per averci dato uno strumento per farlo.

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Wanda Ferro
Wanda Ferro
Sottosegretario di Stato al Ministero dell'interno

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