La memoria dimenticata del 15 marzo

Forse è finalmente giunto il momento per il Portogallo di recuperare la memoria perduta, di ridare dignità a migliaia di vittime dimenticate e di onorare i suoi eroi.

Pubblichiamo l’articolo a cura di Álvaro Peñas, pubblicato su The European Conservative

Il modo migliore per dimenticare qualcosa è non dargli un volto, perché le date, i numeri o i semplici oggetti sono freddi e non entrano in empatia con noi. Sono come noiose lezioni di storia, che ripetono le date delle guerre e dei trattati di pace: si imparano a memoria e poi si dimenticano.

Questo è quello che ho pensato quando ho visitato il Museo dell’Esercito di Lisbona e l’area dedicata alla Guerra d’Oltremare, che il Portogallo ha condotto contro i movimenti indipendentisti in Angola, Guinea-Bissau e Mozambico tra il 1961 e il 1974. C’erano bandiere, armi, ma nessuna foto, né alcun cenno al soldato più decorato della storia del Portogallo, il tenente colonnello Marcelino da Mata, soprannominato “il Rambo della Guinea”. Nato nella Guinea portoghese, divenne famoso per il suo eroismo durante la Guerra d’Oltremare, venendo decorato con cinque croci di guerra e nominato cavaliere, nel 1969, nell’Ordine della Torre e della Spada (il più importante ordine onorifico del Portogallo). Fondatore dell’unità di comando, partecipò a 2.412 missioni, tra cui l’operazione “Mare Verde”, la liberazione di 400 prigionieri politici e 26 soldati portoghesi nelle carceri del presidente guineano Sékou Touré, e l’operazione “Tridente”, il salvataggio di oltre 100 soldati portoghesi in Senegal. Durante la “Rivoluzione dei Garofani” fu perseguitato e torturato dai militari di sinistra e dovette rifugiarsi in Spagna per salvarsi la vita. Era un patriota che non ha mai rinnegato la sua partecipazione alla guerra, e la sinistra non lo ha mai perdonato per questo. Morì l’11 febbraio 2021e ai suoi funerali parteciparono il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, i rappresentanti della Chega e del CDS-Partido Popular, oltre ai suoi compagni d’armi. Non c’era nessun rappresentante del governo socialista ai funerali del soldato più decorato del Portogallo.

Ma se è già abbastanza grave che un Paese voglia dimenticare i suoi eroi, peggio ancora è che dimentichi coloro che sono stati uccisi semplicemente perché erano portoghesi. In un giorno come questo, nel 1961, le piantagioni di caffè del nord dell’Angola divennero la macabra scena di un massacro. Centinaia di guerriglieri dell’UPA, armati di machete ed armi artigianali, assaltarono le piantagioni di caffè, torturando e uccidendo uomini, donne e bambini. La carneficina fu indescrivibile, come testimoniano le fotografie e i filmati dei villaggi e delle piantagioni, saccheggiati e bruciati dai soldati portoghesi e dai media: cadaveri smembrati con machete o seghe da legno, teste inchiodate a pali, donne violentate da decine di guerriglieri e poi sventrate, bambini, anche neonati, schiacciati contro i muri. 7.000 cittadini portoghesi, europei e africani, furono brutalmente uccisi tra il 15 e il 16 marzo.

Il crimine fu così efferato che il leader dell’UPA, Holden Roberto, che si trovava nella sede dell’ONU, in un primo momento non riconobbe la responsabilità del massacro. Ma tutto era permesso nella lotta “anticolonialista” e il terrore era solo un’altra arma. Infatti, mentre i guerriglieri dell’UPA uccidevano selvaggiamente migliaia di civili, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò una mozione di condanna della situazione in Angola, votata sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica. Il 23 marzo, la III Conferenza dei Popoli dell’Africa al Cairo approvò “l’uso della forza per liquidare l’imperialismo”, menzionando Angola, Guinea e Mozambico. Il 4 aprile, quando già si sapeva cosa era successo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò una mozione a favore dell’autodeterminazione angolana. Quando il Portogallo entrò in guerra, il mondo si schierò con gli assassini del 15 marzo. 

Nel 1974, la Rivoluzione dei Garofani pose fine alla guerra ed il Portogallo si ritirò dai suoi territori d’oltremare. Per la Terza Repubblica, nata allora e tuttora in vigore, i morti del 15 marzo erano un ricordo scomodo che era meglio lasciar perdere. Il passare degli anni non è bastato a modificare questa memoria selettiva, anzi. Con la crescente influenza del politicamente corretto, la narrazione dei “combattenti contro l’oppressione coloniale” è proliferata ancor più nei media e nella politica, così come l’idea che la storia del Portogallo, come quella di tutte le nazioni europee, sia razzista e che ci si debba scusare per gli eventi del passato. Un’ondata revisionista che si è spinta fino a chiedere nel 2021, da parte del deputato socialista Ascenso Simoes, la demolizione del Padrao dos Descobrimentos (monumento alle scoperte) di Lisbona.

Tre anni fa, in occasione del 60° anniversario del massacro, solo due media portoghesi hanno fatto riferimento a quanto accaduto allora in Angola: un articolo di Frederico Nunes da Silva, grazie al quale sono venuto a conoscenza di questa storia, e un altro sulla rivista “Sàbado”, con il titolo piuttosto confuso “Massacri in Angola. Le milizie dei vigilanti bianchi”. Niente di più. In Portogallo non c’è nessun monumento che ricordi le vittime innocenti uccise in quel famigerato 15 marzo, né nulla che celebri un eroe come Marcelino da Mata.

L’8 marzo è morto un altro eroe: il pilota Antonio Lobato. Catturato nel 1963, Lobato fu tenuto prigioniero per sette anni e mezzo, evadendo tre volte per poi essere nuovamente catturato. I guerriglieri gli offrirono la libertà e un rifugio sicuro in un Paese socialista, poi in Algeria, in cambio del tradimento del suo Paese e della denuncia delle “atrocità dell’esercito portoghese”, ma Lobato rifiutò sempre. Fu salvato nella famosa operazione “Mare Verde”, alla quale, come ho già detto, partecipò anche Marcelino da Mata.

Nel 1994 è stato eretto un monumento ai combattenti d’oltremare che comprende i nomi di 10.000 soldati morti in guerra, ai quali sono stati aggiunti i nomi di altri soldati morti in missioni internazionali. Finora, però, la più grande vittoria dei Veterani d’Oltremare è stata l’approvazione da parte dell’Assemblea della Repubblica nel 2020 di uno statuto che concede un riconoscimento simbolico e il pagamento di una pensione aggiuntiva per gli ex combattenti. Tuttavia, secondo la Liga dos Combatentes (Lega dei Combattenti), in molti casi ciò ha significato un aumento della pensione di “soli 56 euro all’anno”.

In Italia ci sono voluti più di 60 anni perché un governo di centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi, avesse il coraggio di recuperare la memoria delle migliaia di italiani uccisi nelle foibe e di risarcire un immenso debito storico. Dopo le elezioni del 10 marzo, l’unica opzione per rompere con il socialismo, che ha fatto sprofondare il Portogallo in una fossa di corruzione, è la formazione di un governo tra l’Alleanza Democratica di centro-destra e la destra pro-sovranità di Chega. Il partito di André Ventura è apertamente orgoglioso della storia del Portogallo e solo un governo senza fronzoli può liberare la storia dalle grinfie del politicamente corretto. Forse è finalmente giunto il momento per il Portogallo di recuperare la memoria perduta, di restituire dignità a migliaia di vittime dimenticate e di onorare i suoi eroi. Loro, e la nazione portoghese, non meritano niente di meno.

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