La militanza come missione: l’antidoto all’odio

Essere militanti non è mai stato facile, né oggi né ieri. Chi sceglie di impegnarsi lo fa per amore, non per odio; per costruire, non per distruggere. Eppure, troppo spesso, la militanza viene utilizzata in modo scorretto e caricata di etichette che non le appartengono. La vera militanza è un atto d’amore verso la propria Nazione. 

Chi cresce nella militanza impara presto che non c’è spazio per l’odio. Chi trova il tempo di odiare o di “mettersi nella condizione di essere odiato”, probabilmente non ha molto altro da dire o da fare. Il confronto politico, spesso acceso, talvolta anche duro, non dovrebbe mai degenerare in disprezzo o violenza: l’odio è e resta un controsenso, perché militare significa costruire, non distruggere.

Fare politica per il Bene Comune — e dunque anche per i propri cari e per sé stessi — insegna prima di tutto l’umiltà: la consapevolezza della propria “irrilevanza” di fronte al disegno più grande della vita e della comunità. È una lezione che plasma il carattere e che, unita alla testimonianza del sacrificio e dell’abnegazione di chi ci ha preceduto, spinge a dare sempre il meglio in chiave propositiva.

Una chiave che se correttamente usata fa presto comprendere che chiunque, nella propria irriducibile dignità, può fare la differenza. È la stessa lezione che Tolkien ha consegnato alla storia: “anche la persona più piccola può cambiare il corso della storia”. Non è un caso che, da semplice militante, Giorgia Meloni oggi guidi la Nazione: testimonianza vivente di ciò che la militanza, se vissuta con responsabilità e serietà, può generare.

La militanza virtuosa realizza la persona e la rende soggetto politico attivo, consapevole che la società non è qualcosa di distante, ma la propria casa. Dissolve quella cortina di fumo fatta di individualismo ed egoismo che induce a credere che la “cosa pubblica” non ci appartenga. Al contrario: ogni pietra, via, quartiere o parco della comunità appartiene a ciascuno di noi, e come tale va custodito e curato.

L’odio, invece, è una malattia dell’anima. È un vicolo cieco che inaridisce e abbrutisce, e che nulla ha a che fare con la militanza. Chi confonde la politica con l’odio, come purtroppo accadde in certi periodi bui della nostra storia anche recenti, è vittima dell’ignoranza: un male endemico che da sempre affligge l’umanità.

L’ignorante, per pigrizia o dolo, sceglie la parmenidea “via della notte”, dove si illude di essere unico giudice di una verità che in realtà non esiste. È una posizione apparentemente comoda, ma sterile, che annienta la meraviglia e la sete di conoscenza da cui nasce ogni pensiero critico e ogni crescita civile.

Chi ha subito l’odio politico sa che non vale la pena curarsene troppo. Quando si è impegnati a perseguire obiettivi concreti e sostenuti da studio, riflessione e formazione, l’odio scivola via. La militanza autentica, infatti, è un habitus, una seconda natura: accompagna chi la vive in ogni ruolo, anche istituzionale e governativo.

Oggi come ieri, l’obiettivo resta lo stesso: lavorare con serietà e consapevolezza per il Bene Comune, testimoniando alle nuove generazioni che un altro modo — e un altro mondo — sono possibili. In questo percorso, la funzione del partito, quale respiro democratico della Stato, resta fondamentale: una comunità politica deve saper formare i propri giovani, alimentare il confronto e la crescita culturale.

È ciò che Fratelli d’Italia continua a fare, investendo nella formazione dei dirigenti e dei militanti attraverso momenti di approfondimento e dialogo. Una tradizione che trova la sua massima espressione in Atreju: oggi festa di partito, ma nata in seno al movimento giovanile Azione Giovani come luogo di confronto — il classico “versus” — per educare al dialogo con chi la pensa diversamente.

Perché fare politica significa servire tutti, anche gli avversari. È la lezione più alta della militanza: chi rappresenta il popolo deve ricordare che il proprio mandato vale per l’intera Nazione, non per una parte.

Non c’è spazio per l’odio in una politica così intesa. Chi lo alimenta è in errore; chi lo asseconda si perde in un vicolo cieco, lontano dalla verità. E senza verità non può esserci Bene Comune poiché, come ci insegna Tommaso d’Aquino nella teoria dei trascendentali dell’essere, dire “uno”, “vero”, “buono” e dire “essere” significa dire la stessa cosa, in quanto Ens, verum et bonum convertuntur sunt.

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Alfonso D'Amodio
Alfonso D'Amodio
Nato a Napoli il 4 Febbraio 1983 consegue il Dottorato di Ricerca in Filosofia Politica alla Pontificia Università Lateranense. Precedentemente laureatosi alla LUMSA in Lettere, completa il suo percorso con una Laurea Magistrale a Tor Vergata. Specializzato in ontologia del pensiero scientifico, etica dei sistemi di Intelligenza Artificiale, dialogo interculturale e interreligioso e Filosofia Politica è attualmente ricercatore presso l'Area di Ricerca IRAFS sui fondamenti della scienza. Membro dell'Ufficio Studi di Fratelli D'Italia.

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