La notte dei droni e lo zampone di Trump: così l’Ucraina ha fatto tremare l’impero russo

Con l’Operazione Ragnatela, Kyiv colpisce in profondità basi strategiche russe. Distrutti decine di aerei, forse sottomarini. E dietro il blitz, secondo alcune fonti, si intravede anche il cambio di linea della Casa Bianca.

Il silenzio della Siberia è stato rotto dai droni. Ma oltre al boato degli ordigni, è la portata strategica dell’Operazione Ragnatela a scuotere i vertici militari russi. Non si tratta solo di un attacco spettacolare, ma di una dimostrazione radicale: l’Ucraina è capace di colpire a migliaia di chilometri di distanza, destabilizzando le retrovie più profonde della Federazione Russa.

Nella notte tra il 30 e il 31 maggio, una pioggia di droni ha centrato almeno quattro basi aeree strategiche russe, tra cui Belaya nella regione di Irkutsk e Voskresensk nell’oblast di Mosca. Fonti ucraine parlano di circa quaranta velivoli distrutti o seriamente danneggiati, inclusi i bombardieri TU-95, TU-22M3 e un prezioso A-50 da guerra elettronica.

Ma la notizia non è solo nella quantità: è nella qualità dell’operazione.

La nuova logica della guerra: colpire con poco, rendere molto

Secondo l’intelligence ucraina, i droni sono stati assemblati in Ucraina e introdotti clandestinamente in territorio russo all’interno di container mimetizzati in autocarri o alloggi mobili. Al momento dell’ordine, i dispositivi si sarebbero attivati autonomamente, lanciandosi da vani apribili, guidati da remoto o tramite sistemi d’intelligenza artificiale. Gli stessi veicoli di lancio si sarebbero autodistrutti subito dopo, eliminando le tracce.

L’intera operazione – riferiscono le stesse fonti – era in preparazione da almeno 18 mesi. Un’opera di pazienza, ingegno e logistica militare di nuova generazione. In altri termini: un’architettura della guerra asimmetrica pensata non per fronteggiare Mosca in campo aperto, ma per logorarla nel profondo.

Il fronte si sposta nel cuore della Russia

Colpire Belaya, in piena Siberia, o la regione di Mosca, significa non solo distruggere mezzi e strutture, ma trasferire la guerra in territori ritenuti sicuri. Il danno militare è immenso – un terzo della forza aerea strategica russa, secondo alcune stime – ma ancora più devastante è l’effetto psicologico e geopolitico.

Mosca non è più intoccabile. E l’Occidente assiste.

In parallelo, esplosioni sono state segnalate anche a Severomorsk, nella baia di Kola, quartier generale della Flotta del Nord e principale base dei sottomarini a propulsione nucleare (classi Yasen, Oscar II, Sierra II). Sebbene non ci siano conferme ufficiali su danni diretti a queste imbarcazioni, l’episodio è sufficiente a mostrare la permeabilità dei presunti bastioni difensivi russi.

Un colpo miliardario con un investimento minimo

L’aspetto più dirompente dell’Operazione Ragnatela è la sproporzione tra costi e danni.
Per pochi droni costruiti artigianalmente – costo unitario stimato tra i 5.000 e i 20.000 euro – l’Ucraina ha causato la distruzione di velivoli e installazioni dal valore complessivo di diversi miliardi di dollari. Parliamo di infrastrutture, radar, depositi, aerei da combattimento a lungo raggio e asset elettronici.

Si tratta, a tutti gli effetti, di una “offensiva di precisione economica”: logorare il nemico non con la superiorità numerica, ma con la superiorità di progetto e di intelligenza.

Il fattore Trump: un’ombra americana sulla notte dei droni

In questa fase si fa sempre più largo un’ipotesi sussurrata nei circoli diplomatici e militari: che l’“Operazione Ragnatela” sia stata non solo tollerata, ma persino incoraggiata da chi, oggi alla Casa Bianca, non ha più intenzione di finanziare una guerra senza fine.

Donald Trump, tornato presidente con la promessa di “porre fine al conflitto” in 24 ore, aveva mostrato insofferenza crescente verso la gestione passiva della crisi ucraina da parte dell’establishment. Le sue parole recenti erano state chiare: “Basta assegni in bianco”.

Non è da escludere che questa dimostrazione di forza da parte di Kyiv, che colpisce l’orgoglio russo senza impegnare truppe NATO, rispecchi una nuova linea più muscolare e indiretta dell’Amministrazione Trump. Non boots on the ground, ma droni sulla Siberia. Con buona pace della “neutralità” ufficiale.

Un colpo chirurgico, asimmetrico, e forse anche benedetto – o quanto meno non ostacolato – da chi a Washington ha deciso che è tempo di accelerare.

Una nuova fase della guerra (e della deterrenza)

Alla vigilia di nuovi negoziati, l’operazione ha un messaggio chiaro: Kyiv non è agonizzante, ma strategicamente viva e lucida. La narrazione del logoramento totale dell’Ucraina non regge più, e l’uso innovativo della tecnologia – unita alla lunga preparazione – dimostra una maturazione dell’apparato militare che Mosca aveva sottovalutato.

Se l’Occidente ha temuto che l’Ucraina potesse cedere al peso di due anni di guerra, oggi osserva un attore capace di colpire in profondità, a basso costo e con altissimo rendimento strategico.
È il segnale che questa guerra non si deciderà solo nei cieli del Donbas, ma nei nervi scoperti dell’intero spazio post-sovietico.

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Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

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