La pace secondo Giovanni Paolo II e Francesco. Due mondi lontanissimi

Anche sulla guerra i pontificati di Giovanni Paolo II e Francesco differiscono e non poco. Il “mai più la guerra!” gridato dal Papa polacco vent’anni fa, a pochi giorni dell’inizio della seconda Guerra del Golfo, è profondamente diverso dagli ambigui appelli alla “pacificazione” pronunciati dal Papa delle periferie nei primi quattro mesi della guerra di Putin.

L’invasione russa dell’Ucraina è stata ripetutamente derubricata da Francesco non solo a conflitto qualsiasi, per il quale vige il principio quanto meno controverso, anche per il Catechismo della Chiesa cattolica, che “le guerre sono sempre ingiuste”, ma addirittura a episodio di un conflitto tra Russia e Stati Uniti d’America, in cui l’Ucraina combatterebbe “per procura”, come una marionetta nelle mani del solito vecchio e prepotente Gendarme Planetario.

Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 3 maggio, il Papa regnante ha singolarmente taciuto la realtà delle cose, omettendo che il conflitto nel cuore orientale dell’Europa ha un responsabile, la Russia di Vladimir Putin, e una vittima, l’Ucraina, Stato sovrano aggredito nella inviolabilità dei suoi confini e nella libertà del suo popolo: “forse l’abbaiare della Nato alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto. Un’ira che non so dire se sia stata provocata, ma facilitata forse sì.”

Musica per le orecchie dell’invasore, carburante per i teorici dell’equidistanza, ennesimo colpo al senso di colpa dell’Occidente. E se in questo sforzo di compassione per l’aggressore che “reagisce male” Francesco ha quanto meno invitato il patriarca Kyrill a non fare il “chierichetto di Putin”, l’iniziativa per la pace della Santa Sede non ha certo brillato, né ha ricevuto alcuna considerazione da parte ucraina.

È stato giustamente osservato che Francesco “è il primo Pontefice che non si percepisce come occidentale e che per questo legge il mondo con uno sguardo viziato da un fondo di antiamericanismo.” Bergoglio è stato molto duro contro il riarmo dell’Occidente. Ha condannato la scelta di aumentare la spesa militare dei paesi membri della Nato. Ha definito questa scelta una “pazzia”, parola mai utilizzata contro le violenze di Putin. Ed ha smentito il suo stesso Segretario di Stato, Pietro Parolin, quando quest’ultimo aveva spiegato che difendersi con le armi è legittimo; che “a determinate condizioni, c’è un diritto alla difesa armata in caso di aggressione”; che c’è una “proporzionalità” e che ove “la risposta non produca maggiori danni di quelli dell’aggressione, in questo contesto si parla di ‘guerra giusta’”.

Anche Giovanni Paolo II, in altro contesto storico e politico, prese duramente posizione contro la guerra, ma in una prospettiva realistica e con un “animus” tutt’altro che ideologico. Nell’Angelus del 16 marzo 2003, pronunciò un discorso contro il secondo conflitto in Iraq, che sarebbe scoppiato quattro giorni dopo, per iniziativa di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti dell’allora presidente Bush. Le sue parole sarebbero rimaste nella storia:

“Carissimi Fratelli e Sorelle! desidero rinnovare un pressante appello a moltiplicare l’impegno della preghiera e della penitenza, per invocare da Cristo il dono della sua pace. Senza conversione del cuore non c’è pace. I prossimi giorni saranno decisivi per gli esiti della crisi irakena. Preghiamo, perciò, il Signore perché ispiri a tutte le parti in causa coraggio e lungimiranza. Certo, i Responsabili politici di Baghdad hanno l’urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d’intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!

Ma vorrei pure ricordare ai Paesi membri delle Nazioni Unite, ed in particolare a quelli che compongono il Consiglio di Sicurezza, che l’uso della forza rappresenta l’ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’ONU. Ecco perché – di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne – dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora spazio per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare. Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”

Un capolavoro spirituale e politico. Un invito a tutte le parti a considerare le sorti delle popolazioni come una priorità e un richiamo alla responsabilità di tutti nell’uso della forza, extrema ratio a cui ricorrere anche per difendere le vite umane in pericolo.

 

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