La Palestina e il cancro del terrorismo

Israele ha dovuto subire un ennesimo attacco terroristico con l’assalto armato ad un bus fermo in coda a Gerusalemme. In passato, già altri mezzi pubblici israeliani, nella Città Santa, a Tel Aviv e in differenti centri cittadini dello Stato ebraico, sono stati presi di mira dai terroristi palestinesi, ma l’ultima aggressione armata è stata particolarmente efferata e ha provocato la morte di sei persone e il ferimento, anche grave, di diverse altre. Due giovani individui, provenienti da un villaggio della Cisgiordania, si sono messi a sparare all’impazzata con una mitraglietta contro il bus bloccato in un ingorgo stradale e hanno colpito a sangue freddo sia i passeggeri a bordo del mezzo che alcune persone le quali si trovavano in attesa presso la fermata. I due terroristi sono stati poi uccisi da un comandante della Brigata Asmonea, prima squadra ortodossa dell’esercito israeliano, e da un civile religioso armato.

Fra le vittime dell’attentato sono stati identificati dei religiosi e un giovane immigrato dalla Spagna che solo a giugno scorso si era sposato, quindi, dopo il nefasto 7 ottobre del 2023 e tanti agguati compiuti contro Israele, il terrorismo palestinese è tornato ad uccidere innocenti, i quali, peraltro, non avevano nulla a che fare con le Forze Armate di Gerusalemme e nemmeno con il governo di Benjamin Netanyahu. Gli spari al bus impongono una serie di riflessioni proprio in questo particolare momento contrassegnato dalla guerra nella Striscia di Gaza e dalla diffusione mediatica di una vulgata a senso unico, che non menziona nemmeno più il sangue del 7 ottobre, gli ostaggi israeliani e le responsabilità criminali di Hamas, ma scarica tutte le colpe su Israele con accuse tremende di genocidio e di carestia organizzata.

Un racconto che non solletica solo la fantasia delle sinistre occidentali, più o meno estreme, e di sedicenti attivisti umanitari come i gretini della Flotilla, ma ispira anche alcuni governi del Vecchio Continente tipo quello francese di Emmanuel Macron, quello britannico di Keir Starmer e addirittura l’esecutivo federale del Belgio. Tutti impazienti di riconoscere subito, con la guerra ancora in corso a Gaza, lo Stato di Palestina, e questo, sospettiamo, più per schierarsi in un certo modo nel conflitto e fare un dispetto politico a Netanyahu, oggetto di molti pregiudizi, che per un desiderio genuino di volere aiutare l’emancipazione dei palestinesi. Il riconoscimento internazionale della Palestina adesso è una pericolosa fuga in avanti e proprio l’attacco al bus di Gerusalemme deve, dovrebbe, far pensare coloro i quali vogliono correre verso una maggiore legittimazione globale dei Territori palestinesi.

Già solo la presenza a Gaza di Hamas, che, pur assai indebolita dalle operazioni militari di Israele, continua ad essere armata e a tenere degli ostaggi, dovrebbe consigliare una forte prudenza prima di concedere con nonchalance status significativi alla Palestina. Quando la premier Giorgia Meloni ha parlato di tempi non maturi, si riferiva proprio al problema rappresentato da Hamas che non ha ancora incontrato una soluzione definitiva. Ma anche la Palestina considerata, diciamo così, moderata e capace di poter avere un dialogo con Israele e l’Occidente, ha sempre avuto una relazione dubbia e complicata con la Jihad armata.

I due attentatori dell’autobus provenivano dalla Cisgiordania amministrata dalla Autorità Nazionale Palestinese e l’ANP, da Yasser Arafat ad Abu Mazen, ha sempre dato l’impressione di usare due binari: uno più istituzionale, in apparenza pacifico e in grado di discutere con le cancellerie mondiali, e l’altro, maggiormente infingardo, caratterizzato da una tacita tolleranza per il terrorismo e per tutti i finanziamenti che riceve da alcune parti come l’Iran. Non sono mai giunte, è bene ricordarlo ogni tanto, dall’ANP garanzie granitiche legate ad una seria lotta all’integralismo violento, e fino a quando Abu Mazen e soci non abbandoneranno quella doppiezza storica risalente agli anni di Arafat, il pur auspicabile disegno dei due popoli e dei due Stati che convivono in pace, rimarrà di difficile applicazione e Israele sarà sempre costretto ad una strenua difesa.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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