La “pastasciutta antifascista” non è passata. Federico Pizzarotti, sindaco di Parma e “fenomeno” giallo-fucsia ante litteram, alla fine ieri ha dovuto innestare una rovinosa (per lui) marcia indietro: «Si è trattato di un errore». Il regolamento “unico”, una sorta di Libretto Rosso in stile parmigiano, «non vale per i buoni spesa» a cui sperano di poter accedere le tante famiglie messe ancora più in ginocchio dalla crisi del Covid-19.
Eppure senza la denuncia giornalistica de Il Primato nazionale, che ha scovato l’autocertificazione con la folle richiesta di fede antifascista per avere i pochi spiccoli di Stato, il battage dei parlamentari di Fratelli d’Italia e la dura reprimenda di Giorgia Meloni, tutto sarebbe tranquillamente continuato se nulla fosse: “Vietato mangiare” a chi si rifiutava di sottostare alla clausola ideologica messa nero su bianco sul modulo necessario per attivare il buono.
La notizia dei “buoni spesa antifascisti”, come era sano e giusto che fosse, ha scatenato l’indignazione della destra politica ma non solo: migliaia di commenti da parte di semplici cittadini e di prese di posizione contro un sindaco che – è ormai una formula: in assenza conclamata di fascismo – gioca a fare il partigiano 2.0 pur di accreditarsi nel palcoscenico nazionale con provvedimenti liberticidi e provocazioni incostituzionali come quelle, che lui ha confermato, che vietano la concessione degli spazi pubblici a chi non sottoscriva il famoso regolamento “rosso”.
Alla fine, almeno davanti a un’enormità che sconfessa pure la parola del Vangelo («dar da mangiare agli affamati») e davanti a una crisi sociale che rischia di degenerare grazie alle misure insufficienti del governo Conte, Pizzarotti ha dovuto cedere. «Si è reso conto della pagliacciata», ha commentato Giorgia Meloni riferendosi allo stop della surreale discrezionalità («un reduce della Rsi no, mentre i tagliagole dell’Isis, i mafiosi, i criminali, quelli che inneggiano ai crimini di Pol Pot, di Stalin, alle foibe, possono invece abbuffarsi con i buoni pasto del Comune di Parma…») e per questo lieta del fatto che «la follia ideologica, almeno per ora, è stata contenuta».
Ma non è finita qui. Resta, come dicevamo prima, il regolamento del Comune che pretende una sorta di “atto di dolore” il quale pretende il ripudio di idee che si richiamano non solo al fascismo ma anche a concetti molto ampi e ambigui come xenofobia e sessismo. Una richiesta che ovviamente non si trova né sulla Carta costituzionale né, tantomeno, è stata mai contemplata da alcuna nazione democratica, in nessun momento della storia.
Evidentemente, però, il “Ducato di Pizzarotti” pensa di poter continuare a fare come se nulla fosse – ispirato da giureconsulti del “calibro” di Boldrini, Fiano, Saviano e compagnia – sulla concessione delle sale comunali, del suolo pubblico e anche delle autorizzazioni. A calpestare cioè diritti di opinione elementari e fonti di diritto superiori. Peccato per il sindaco, però, che l’eccesso di zelo dimostrato con il “bollino antifascista” per comprare pane e pasta ha aperto una crepa importante nella diga del soviet. È pronta infatti, come hanno spiegato ieri i parlamentari di Fratelli d’Italia Balboni e Fazzolari, una denuncia per abuso di ufficio destinata a puntare a 360° i riflettori su una pratica tanto strumentale e patetica quanto diseducativa, pericolosa e liberticida.
Toc, toc: ministro Lamorgese? C’è qualcuno da quelle parti?