La questione intellettuale italiana: tra governabilità riformatrice e sinistre reazionarie

Sveglia! Il mainstream accademico e giornalistico quotidianamente strilla contro il governo Meloni. Ma non è questo il punto: le opposizioni, d’altronde, fanno opposizione. Il problema nasce invece dalla omologante inconsistenza contenutistica, nonché concettuale, di tali strilli. Di fronte alle riforme coraggiose che il governo Meloni sta portando avanti (e che il Paese reale aspettava da decenni), come quella sulla separazione delle carriere nella magistratura ordinaria, o come quella sul premierato per garantire più stabilità alle istituzioni democratiche, c’è chi in modo pericolosamente reazionario rema sempre contro. Persino di fronte all’evidenza delle necessità, persino di fronte alla volontà degli italiani.

C’è quindi un nudo da sciogliere, propedeuticamente: il nodo carsico – ma stridente – della questione intellettuale italiana.

Sveglia! L’intellettuale che ama il sociale e la politica, oggi più che mai, ha il dovere – senza chiedere il permesso ad alcuna vestale accademica – di uscire fuori dalle solitarie torri eburnee del sapere schematico; per gustare sulla propria pelle il sapore pragmatico del divenire sociale, posto alla base di ogni sapere empiricamente riscontrabile. Anche a costo di non avere più maestri d’immediata frequentabilità.

D’altronde, come la storia insegna, consegue spesso un caro prezzo alla libertà.

Le libertà intellettuali, anticamera delle più pragmatiche libertà socioesistenziali, sono un dovere. Non soltanto un diritto. Sono un dovere per chi sa essere forte veramente.

L’intellettuale ha il sacrosanto diritto-dovere di andare oltre le mura di cinta degli ammaestramenti sociologici e storiografici ufficiosi e ufficiali. Questi ultimi, in cambio di tarde o mansuete carriere d’etichetta accademica, lo rintanano in cavilli astratti, ben lontano dalle sfumature reali della vita. Non sempre, ovviamente, ma troppo spesso accade ciò, ahinoi. 

L’intellettuale, oggi più di ieri, nella civiltà dei consumi veloci e nelle arene dei social media, farebbe bene a mettere ordine nel disordine delle sue papabili piste, fra ricerca e comunicazione, per scegliere chi voler essere: dove, come e perché. Senza delegare al mercimonio algoritmicamente diretto dei click, o alle predestinate teocrazie dell’accademia, dove al di fuori di una stanza o al massimo di un ateneo ogni dio-minore muore, scoprendosi semplicemente una persona dotata di pensiero. Come tanti altri professionisti in altri luoghi, d’altronde.

Come essere intellettualmente se stessi nell’odierna civiltà delle sequele post-ideologiche? Un tempo tutte le vacche erano al sole, dalla comunista alla democristiana, dalla socialista alla radicale; ma oggi, nel disordine post-ideologico ancora poco pronto al maturo esercizio delle libertà, le post-ideologie si camuffano da mucche libere, confondendosi politicamente tra i vari colori dello spettro cromatico. Esse continuano ad agire lottizzando le tradizioni accademiche e i passaggi di testimone, nel dominio culturale (quando non proprio cultuale) dell’esistente.

Dovere del popolo d’individui amanti delle libertà è fare culturalmente breccia, tra le rime obbligate dei reazionari, che non vogliono riformare l’Italia. 

Per avere cognizione piena, aggiornata e realistica di chi di volta in volta è un reazionario e chi no, occorre andare al di là delle etichette neopartitocratiche, nonché al di là delle categorie pubblicitarie sbandierate dai progressisti senza programmi di progresso. Occorre sorpassare i catorci del populisticamente corretto, che corrode ogni pareggio di bilancio con spese pubbliche non incentivanti, come il reddito di cittadinanza di primo pelo, e che genera maggiori pressioni fiscali con minori slanci libertari in economia.

Come fare per coltivare libertà? 

Come fare per essere intellettualmente se stessi, in questa società labile che, deprezzando le radici, si procura dolosamente una costosa mancanza di identità forti? Come rimanere autenticamente liberi tra l’incudine e il martello che falcidiano le carriere di chi è troppo libero o stramaledettamente indipendente? La libertà fa paura alle roccaforti burocratiche e accademiche di una certa tradizione giacobina, di una certa sinistra post-leninista, a vocazione culturale egemonica. 

Ma il coraggio è più forte del nichilismo di chi vuol confondere la potabilità delle acque, nei pozzi presso cui le nuove vacche post-ideologiche vanno a bere.

Come fare a gestire il coraggio dell’essere liberi?

Anzitutto svegliandosi di fronte a se stessi, per capire chi si è, dove si sta andando – almeno per un non troppo breve termine – e quali sono quei pochi ma forti valori, a cui ad ogni costo ci si ispira. Nonché quali radicati valori si vogliono lanciare, possibilmente: ciascuno come gli riesce, ciascuno con la propria indelebile unicità.

Come fare i conti con i propri limiti del qui ed ora, o del mai più? Questo è un punto focale. Bisogna capire se si è pronti ad essere feriti, ad avere problemi per organizzare in battaglia civile i propri valori liberalpatrioti e neoconservatori di progresso e libertà: perché prima o poi ciò arriva, per gli esseri liberi che realizzano diplomazie di lotta per le libertà. Anche qui, la storia insegna. 

Capire se si è maturi abbastanza per poter conciliare il proprio destino di lotta per le umane libertà con il dovuto rispetto da riservare, sempre e comunque, a ciascuno: questo è l’abc di un liberale conservatore. Corsara quindi si fa la via.

Graffiare culturalmente, intelligibilmente. Graffiare anzitutto la apatia che tiene basso il livello della nostra attenzione partecipativa nelle dinamiche politiche che tutt’intorno s’agitano, nel mondo sociale, finanziario, economico, fiscale, accademico, editoriale, partitocratico di respiro transnazionale.

Graffiare con gli attributi dell’intelletto, mettendoci il corpo, il cuore, il tempo. Mettendoci la faccia. Graffiare con radicale intelligenza. Con la propria diplomatica nonviolenza istituzionale: rispettando sempre la altrui libertà di graffiare, o di ripararsi dai graffi non condivisi. 

Graffiare e perforare con lo spirito, bucando gli specchietti per le allodole che la banalità del pensiero a direzione univoca pianifica. Graffiare, per strappare un posto in più agli strumenti di libertà, per contrapporsi a chi vilipende gli spazi del pensiero impresario coi cavilli burocratici del non-si-può. Graffiare per accrescere e mai per mortificare l’antico principio d’oltreatlantico secondo cui “no taxation without representation”, e quindi per difendere il valore sistemico-ordinamentale secondo cui non vi può essere una nuova tassazione o un aumento della tassazione senza un’adeguata rappresentanza popolare dei contribuenti al riguardo. Quel sacrosanto principio dovremmo ricordarlo oggi giorno alle sinistre new age d’Europa, che vorrebbero stringere i lacci e lacciuoli tributariocratici in nome del green, nonché in nome di un neosocialismo fiscale. Troveranno, da questa parte, sempre irti e pronti i liberalconservatori, pronti a resistere a tali scenari anti-popolari: sia quando e dove le sinistre eventualmente governeranno, sia quando e dove le sinistre urlano ed urleranno dagli scranni o dalle piazze dell’opposizione.

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Luigi Trisolino
Luigi Trisolino
Giornalista, giurista, poeta patriota, legale in Presidenza del Consiglio dei Ministri. Cattorepubblicano e liberalconservatore.

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