La sfida. Abbattere la roccaforte PD in Emilia Romagna

A un passo dal “crocevia” del 26 gennaio, sappiamo benissimo – a livello quasi morboso – che cosa c’è in ballo in una delle vie di questo incrocio. Parliamo dell’Emilia-Romagna, la regione simbolo del Pd, l’ultimo efficiente laboratorio “socialista” (di consenso) su cui la destra, per la prima volta in settant’anni, ha lanciato una sfida politica e di concretezza dove la parola «vittoria» non risuona più come una presa in giro ma come una possibilità reale per cambiare, proprio da qui, volto all’Italia. Tra Lucia Borgonzoni e Stefano Bonaccini, come è chiaro, non si gioca un match regionale, ma – e le “Sardine” sono state incaute e narcisiste protagoniste – l’ennesima stazione, potenzialmente decisiva, del referendum «popolo contro establishment» che dal marzo 2018 vede i sovranisti vincere e convincere in tutte le elezioni e i globalisti arrancare e per questo sempre più asserragliati nei bunker del potere.

L’altra via, quella che attraversa la Calabria, è stata decisamente meno percorsa dalle telecamere e dal racconto politico-giornalistico in queste settimane.

Eppure tutte e due le direttrici rappresentano epifenomeni equivalenti del fallimento giallorosso. Se l’Emilia-Romagna – come abbiamo detto poc’anzi – è l’ultima ridotta del “sistema Pd” (con annesso “sistema Bibbiano”) a giocarsi la difesa disperata dall’assalto del destra-centro, in Calabria invece si avrà plasticamente un’altra grande prova: la dimostrazione del fallimento senza appello del MoVimento 5 Stelle al Sud.
Proprio nella punta dello Stivale, nemmeno due anni fa, Di Maio & co ottennero un risultato clamoroso, sfiorando il 45% e conquistando praticamente tutti (ad eccezione di uno) collegi uninominali nella regione. Un plebiscito che – con la Campania, la Puglia e la Sicilia – componeva quell’Italia “gialla”, meridionale, che ha funzionato da lasciapassare per l’allora governo gialloverde e, soprattutto, per il flop più disastroso che si ricordi della storia politica recente: il reddito di cittadinanza.

Una riforma “vuota”, elettorale, per nulla tarata rispetto alle reali esigenze del mondo del lavoro e di quello dei disoccupati che ha fatto “scopa” con i tradimenti grillini alle aspettative (esasperate) con le quali il pifferaio magico del MoVimento aveva sedotto una porzione importante del consenso meridionale: dalle infrastrutture (chi le ha viste? Nemmeno nei progetti) agli investimenti, passando dai cedimenti sulle velleitarie e folli promesse di “stop” su Ilva e Tap, franate miseramente davanti al peso della realtà.

Si comprende bene, dunque, perché in Calabria i 5 Stelle da motore della “domanda” di politica siano diventati ormai spettatori – nemmeno terzi incomodi – di una sfida centrodestra-centrosinistra che vede proprio la coalizione Fi-Fdi e Lega, con Jole Santelli candidato governatore, come proposta sugli scudi dopo la deprimente e controversa stagione del centrosinistra che ha tentato in extremis, con la proposta Callipo (imprenditore di successo ma mai vicino al centrosinistra), di uscire dal vortice di clientele e incompetenza che ha contraddistinto la sua stagione.

Ecco perché questa domenica il destra-centro si candida a dare due lezioni così diverse ma ugualmente importanti ai due partner dell’inciucio giallorosso.

Un messaggio unitario, da parte degli elettori, ai due “sistemi”, quello del Pd, rimasto tale solo nell’Italia Centrale, e quello grillino, vera e propria meteora nel Meridione: game over.

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