La sinistra è l’unica che difende i pro-Pal: anche gli arabi sono stufi del fondamentalismo

Mentre in Italia c’è chi ancora difende i pro-Pal e si indigna per il veto del governo alla loro manifestazione commemorativa del 7 ottobre, i Paesi arabi si sono stufati del rigidismo islamico e ripudiano Teheran. Nel frattempo, Giorgia Meloni riunisce il G7 e cerca una pace giusta in Medio Oriente

Non sarà forse il timore di perdere voti fondamentali, a rallentare la presa di distanza della sinistra agli atti, francamente irresponsabili, dei pro-Pal, dei Giovani palestinesi e dell’ammasso di collettivi, comunisti e centri sociali che in queste settimane, con preoccupante intensificazione negli ultimi giorni, hanno manifestato in tutta Italia sventolando bandiere di Hezbollah e ricordando il suo capo, Hassan Nasrallah, ucciso dalle forze israeliane. Dopo il corteo dello scorso sabato, dove sono comparsi i cartelli dei cosiddetti “agenti sionisti”, dem e compagni vari non hanno preso le distanze, non esprimendo solidarietà ai diretti interessati e neppure condannando l’accaduto. Niente di niente, il silenzio: un silenzio, quasi omertà, che non aiuta a gestire e a contenere una situazione che ormai è diventata oggettivamente incandescente.

Sinistra con i pro-Pal

Il primo anniversario di quella “alluvione Al-Aqsa”, quell’attacco delle truppe di Hamas che uccisero migliaia di giovani ebrei nel deserto di Israele, è vicino e per l’occasione i pro-Pal italiani hanno già annunciato di voler fare baldoria: sabato, 5 ottobre, è stata annunciata una manifestazione per commemorare non le vittime, ma i carnefici di quel giorno. I Giovani Palestinesi hanno pubblicizzato l’evento dicendo che “il 7 ottobre è stato una rivoluzione”, uno slogan che lascia presagire disordini e caos tra le strade delle città italiane. Per questo è arrivato il pugno duro del governo, che ha vietato la manifestazione: “Con preavvisi che in maniera più o meno allusiva tendevano a celebrare la data del 7 ottobre come l’esaltazione di un eccidio, francamente non era possibile lasciar fare” ha detto il titolare del Viminale Matteo Piantedosi. Linea sposata anche dal Tar del Lazio, che ieri ha respinto – e si capisce il perché – il ricorso degli organizzatori.

Più che prendere le distanze dalle turpi azioni delle piazze, però, la sinistra continua ad ammiccare alle folte masse di comunisti e collettivi che difendono Hamas e che non nascondono più, a quanto pare, la loro affezione al terrorismo islamico. In un comunicato steso d’intesa da Anpi, Acli e Legambiente, si chiede che “sia garantito il diritto e la libertà di manifestare in modo nonviolento e pacifico”. Collettivi che scendono di casa per urlare slogan antisemiti e magari trovare la guerriglia con l’antisommossa, vengono ora trattati come delle vittime di un governo che non riconosce la libertà di manifestare. Malgrado proprio questo governo abbia scelto di consentire la maggior parte delle proteste dei pro-Pal di questi mesi. È dunque chiarissimo a tutti: per la sinistra il consenso di quelli che scendono in piazza per glorificare Hamas è troppo più importante di condannare azioni antisemite e vicinanze al terrorismo islamico.

Quegli arabi stufi del fondamentalismo

Un terrorismo che, tra le altre cose, vorrebbe vedere la fine della nostra civiltà. La guerra a Israele è la guerra alle radici giudaico-cristiane dell’Occidente, che non possiamo ripudiare. La guerra a Israele è la guerra tra un sistema democratico e un sistema dittatoriale. La guerra a Israele è la guerra tra un mondo che si è aperto alla libertà, al commercio, al dialogo con tutti e, in generale, al capitalismo, e un mondo che invece resta chiuso in sé stesso e vorrebbe imporre la propria visione agli altri. È un po’ quella guerra che ha diviso il mondo a metà per mezzo secolo, tra zone libere e zone rinchiuse, che costringevano i cittadini a restare entro i confini costruendo muri.

Non è un caso se, differentemente da quello che sentiremmo dire dai pro-Pal italiani e da chi è loro fan, Israele non è così isolata in Medio Oriente come si crede: gli accordi di Abramo siglati nel 2020 tra Israele e mondo arabo, sotto la guida degli Stati Uniti del “guerrafondaio” Donald Trump (e non del “pacifista” Joe Biden), hanno creato nuovi legami tra lo Stato ebraico e gli altri Stati arabi. L’attacco missilistico di martedì di Teheran ha rafforzato la vicinanza a Israele da parte di quei Paesi, che si sono ovviamente stufati del rigidismo di una religione che, nella sua accezione più integralista, è l’unica a creare ancora barriere. Una vicinanza che si basa su relazioni pacifiche, su accordi e su questione economiche: è sempre il Dio denaro ad avere la meglio? Forse sì, e in questo caso è fondamentale. Perché per quanto possano esistere delle divergenze religiose, tra lo Stato ebraico e molti Paesi arabi scorre buon sangue: Emirates, ad esempio, continua ad operare senza sosta a Gerusalemme nonostante l’inasprimento del conflitto con Hamas. Come dire: se devono essere gli interessi commerciali a stabilizzare il Medio Oriente, ben venga. Sono con Israele l’Arabia Saudita e il suo capo Mohammed bin Salman, gli Emirati Arabi, Bahrein e anche la Giordania, che ha pure aiutato Gerusalemme durante l’attacco di Teheran intercettando diversi razzi che attraversavano il suo spazio aereo. Dunque, a essere davvero isolato è l’Iran, assieme alla miriade di organizzazioni terroristiche che finanzia. Isolato e debole, dato che il suo attacco missilistico, annunciato come potentissimo e distruttivo, ha in realtà causato pochi danni, facilmente schivato dalla contraerea israeliana, provocando anzi la morte di un palestinese in Cisgiordania.

La diplomazia per una pace giusta

Detto ciò, la diplomazia deve fare la sua parte. Come si mobilitò, tramite Trump, per raggiungere gli accordi di Abramo, così ora deve muoversi per un cessate il fuoco in Palestina, considerando il suo popolo per ciò che è veramente, ossia una vittima del terrorismo di Hamas. Ieri Giorgia Meloni, presidente di turno del G7, ha riunito d’urgenza i capi di Stato dell’organizzazione; unico assente, Emmanuel Macron. Nella conferenza, si legge in una nota di Palazzo Chigi, “è stata reiterata la ferma condanna all’attacco iraniano contro Israele”, ribadendo che “un conflitto su scala regionale non è nell’interesse di nessuno e che una soluzione diplomatica risulta ancora possibile”. Un fatto che segna, ancora una volta, una netta differenza tra chi lavora per una pace giusta e chi, invece, vuole mandare tutto in caciara per mero tornaconto elettorale.

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