La violenza domestica non ha genere. Cosa fare per contrastarla.

Pochi giorni fa ad Ostia una signora di 78 anni ha accoltellato in strada il fidanzato di 81 perché l’uomo non desisteva dalla volontà di lasciarla.

Prima del tentato omicidio l’anziana aveva passato intere settimane a tempestarlo di telefonate e a fargli appostamenti sotto casa per convincerlo ad ogni costo a cambiare idea. (Cronaca: Ostia, lui la vuole lasciare ma lei non vuole: 78enne accoltella fidanzato 81enne).

Questa dinamica vi ricorda forse qualcosa?

È esattamente uguale alla trama di ogni donna che subisce violenza dal compagno nel tentativo di quest’ultimo di trattenerla con sé una volta che la relazione è finita, è lo schema di quel “femminicidio” per il quale i giornali lanciano allarmi quotidiani e in nome del quale certa parte politica fa fatica e addirittura rinnega l’esistenza di reati contro la persona perpetrati anche dalle donne sugli uomini.

La violenza all’interno di una relazione è prima di tutto un gioco di potere, dove qualcuno assume il ruolo del carnefice e qualcun altro quello della vittima. Quando questo gioco si spezza perché la vittima recupera consapevolezza e autostima, il carnefice si sente minacciato e tenta di ribadire il controllo della coppia – già costruito con la manipolazione e l’aggressività – con atti estremi. La morte della vittima è un epilogo necessario per lavare l’onta del rifiuto e rispondere all’esigenza di proprietà: “o mia o di nessun altro”. Lo schema comportamentale all’interno di questa relazione malata è sempre lo stesso, ma i ruoli possono essere assunti indistintamente dall’uomo o dalla donna.

Perché non si parla delle violenze subite dagli uomini?

Molto si è fatto per l’emersione degli abusi perpetrati sulle donne, nulla si dice in merito alle violenze subite da ex mariti, compagni o fidanzati.

In primo luogo perché i luoghi comuni impediscono ad un maschio di denunciare: rischierebbe di non essere creduto e si mostrerebbe così al mondo intero debole e non in grado di difendersi, macchiandosi della colpa di non essere abbastanza forte quanto la società lo richiede.

In secondo luogo, perché la sinistra e le femministe assurgono a paladine di un inconcepibile primato del “femminicidio” che non deve essere messo in discussione, nemmeno di fronte a casi eclatanti come quello di William Pezzullo o Giuseppe Morgante. Quindi è meglio negare – in ogni modo – le vite distrutte da delle criminali che buttano l’acido in faccia agli ex piuttosto che parlare di “uomini vittime”.

Il tema delle donne carnefici è una realtà da sempre drammaticamente presente nel tessuto sociale e familiare italiano ed è stata fatta emergere più volte da studi, come quello effettuato nel 2011 dall’ Università di Siena e nel 2015 dal progetto europeo Daphne III.

La violenza non ha genere: diamoci un taglio.

Il Dipartimento tutela vittime di Fratelli d’Italia già nel 2014 aveva sollevato il problema strutturando una serie di conferenze che si sono concluse con la campagna nazionale del 2017 “La violenza non ha genere: diamoci un taglio”. Per far emergere il fenomeno e dare una risposta concreta ai tanti uomini vittime è necessario rovesciare il paradigma della comunicazione imperante e superare la cecità ideologica della sinistra, che tende a voler negare i dati e ad attaccare giornaliste d’inchiesta come Barbara Benedettelli e associazioni come “L’altra parte” accusandole di dire il falso e di voler negare i diritti delle donne.

Occuparsi seriamente di chi ha subito abusi ed è stato privato della propria libertà e autonomia vuol dire impegnarsi contro la violenza agita su persone, senza distinguerle in base al genere. A tutt’oggi in Senato esiste una commissione che tratta esclusivamente il tema del ‘femminicidio’, lo Stato finanzia solo i Cav per donne ed i centri che trattano di prevenzione del fenomeno sono ‘per uomini maltrattanti’. FdI ha proposto in molte occasioni di estenderne il concetto e di definirli ‘centri per soggetti maltrattanti’, includendo in questo la possibilità di far aderire al percorso anche le donne che agiscono violenza all’interno della coppia.

I Centri antiviolenza

In merito ai Centri antiviolenza, infine, occorre sicuramente un’operazione verità: censire intanto tutte le realtà che dichiarano di offrire questo servizio, escludendo tutti quelli che sono centri sociali mascherati, che svolgono attività politica all’interno della struttura e che si occupano di indottrinare le Vittime al femminismo più becero e all’ideologia gender. Una per tutte, la Casa Internazionale delle Donne di via della Lungara.

Invece vanno premiati – prevedendo risorse continue e non a singhiozzo – tutti quei CAV che, grazie all’operato instancabile e troppe volte senza mezzi di tantissimi volontarie, costituiscono un reale aiuto a chi è in difficoltà.

I centri devono avere l’obbligo di produrre dati e statistiche rispetto ai servizi offerti e le persone assistite, in modo da avere finalmente una fotografia reale ed attuale riguardo al tema della violenza domestica in Italia.

Si deve, infine, lavorare sulla prevenzione implementando su tutto il territorio nazionale i Centri per maltrattanti e avere il coraggio di dire no alla violenza, di qualunque forma essa sia, per scardinare i pregiudizi che ancora rimangono nel contrastarla e evitare la sua strumentalizzazione ideologica.

Cinzia Pellegrino, coordinatore nazionale Dipartimento tutela Vittime

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Cinzia Pellegrino
Cinzia Pellegrino
Coordinatore Nazionale del Dipartimento Tutela Vittime di FDI

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