Ogni tipo di protesta porta sempre con sé un certo grado di malessere che non può mai essere ignorato. Quando poi è dal settore primario che arrivano richieste di maggior attenzione, le istituzioni devono stare ad ascoltare. Tuttavia, c’è una linea invalicabile che non può essere superata: quella della violenza, anche solo evocata.
Durante la conferenza stampa di Coapi tenutasi ieri alla Camera dei Deputati, Gianni Fabbris, segretario nazionale di Altragricoltura, ha pronunciato parole gravissime: “Dobbiamo uccidere qualcuno o possiamo ragionare di cose serie?”. Un’affermazione inaccettabile in un contesto istituzionale, che getta un’ombra pericolosa su una battaglia che dovrebbe essere combattuta con il dialogo e con la proposta, non con l’intimidazione e la rabbia cieca.
Le proteste agricole hanno solide ragioni alla base: la competizione sleale con prodotti esteri, la crisi del comparto, la necessità di garantire un giusto reddito ai produttori. Tematiche su cui, tra l’altro, il Governo Meloni e in particolare il Ministro Lollobrigida si sono battuti sin dal primo giorno. Eppure, nonostante nessun esecutivo passato abbia mai sostenuto il settore in questo modo – con 12 miliardi di euro stanziati in due anni, il raddoppio dei fondi PNRR per l’agricoltura, il divieto del cibo sintetico, il fondo per le emergenze climatiche e per la sovranità alimentare, incentivi per gli impianti agrisolari e una lotta senza precedenti contro le speculazioni sui terreni agricoli – questo sembra non bastare a una parte degli agricoltori.
Ma i numeri parlano chiaro e l’Italia per la prima volta ha superato Francia e Germania per valore aggiunto agricolo, posizionandosi prima nel vecchio Continente. E non può essere un caso che la prestigiosa rivista Politico.eu, certamente non vicina alla destra, ha recentemente incoronato Lollobrigida come il ministro dell’Agricoltura più influente d’Europa. Un riconoscimento che non può nascere dal nulla.
Il confronto con Fabbris non potrebbe essere più evidente: da una parte chi lavora per migliorare l’agricoltura con fatti concreti, dall’altra chi alza i toni, rischiando di trasformare una protesta legittima in una minaccia per la sicurezza pubblica.
Gli agricoltori italiani meritano di essere ascoltati e sostenuti, ma per farlo devono avere interlocutori credibili. La politica ha il dovere di accogliere le istanze del settore primario, ma non può accettare il ricatto della violenza, neanche verbale. Chi vuole difendere l’agricoltura italiana scelga la via del confronto costruttivo. Il resto è solo pericolosa demagogia.