L’anno che verrà

In chiusura di questo 2023 un dato – a poco più di un anno dalla nascita e con due delicate leggi di Bilancio già sulle spalle, affrontate all’interno di una congiuntura internazionale monstre – si può dare per assodato: il governo Meloni, il primo destra-centro della storia repubblicana, è una solida realtà. «Non vende sogni», parafrasando una celebre réclame, ma interpreta un’istanza concreta, scomparsa da anni dai radar del sistema della rappresentanza italiano: risponde a un programma chiaro, certo; ma soprattutto alla “domanda” in cui si identifica il grosso degli italiani. Ciò che va ben oltre il perimetro della sua maggioranza.
A confermare l’onda lunga – al netto del responso di tutti i sondaggi – i risultati, che hanno premiato in questo tratto la coalizione di destra-centro nelle Regioni al voto, ben cinque, e nei principali Comuni dell’Italia profonda. Milioni di «sì» che hanno certificato via via, nel disorientamento generale della cosiddetta stampa ufficiale, un moto: i cittadini (anche gli elettori di sinistra che hanno “punito”, molti con l’astensione, l’offerta della loro compagine) hanno scelto di scendere dall’ottovolante per lanciare un messaggio fondamentale. C’è voglia, oltre che necessità, di stabilità. Di pensiero lungo.
È questa, non a caso, la direttrice che Giorgia Meloni ha voluto impostare al timone dell’esecutivo. Al di là della lente distorta con cui osservatori interessati continuano a voler inquadrare il fenomeno, nell’illusione che corrisponda alla realtà, la risposta sul campo della premier – mistura ragionata di realismo e decisionismo, di prudenza e romana “concordia” – ha ribaltato tutti i pronostici apocalittici della vigilia: recitando tutt’altro copione rispetto alla caricatura con cui gli avversari hanno cercato di demonizzarne l’avvento a suon di «pericolo nero» per le istituzioni e «allarme sovranista» per l’Ue. Bene: la risposta fattuale ha placato gli animal spirits dei mercati e dello spread, ha convinto investitori e agenzie di rating e sorpreso, in positivo, i partner internazionali di ogni estrazione e latitudine. Tutto ciò è potuto avvenire perché il suo governo ha garantito, prima di ogni cosa, la coesione sul fronte interno: grazie, è doveroso sottolinearlo, a un impianto normativo concentrato da un lato sulla protezione delle fasce più colpite dalla crisi (insieme ai ceti produttivi taglieggiati dall’inflazione), dall’altro sull’attivazione del nuovo binario. Ossia l’avvio delle riforme sancite in campagna elettorale: dal fisco alla giustizia, dall’autonomia differenziata al provvedimento centrale chiamato a fornire l’infrastruttura istituzionale a ogni progetto di ampio respiro, il premierato.

Un esecutivo che ha agito con uno spiccato spirito d’iniziativa anche in politica estera: lo ha fatto nel bacino del Mediterraneo, sbocco naturale dell’Italia abbandonato da decenni, con la prima pietra del Piano Mattei; disegno che ha ridestato da un lungo sonno il ruolo di cerniera diplomatica dell’Italia con tutti i protagonisti, vecchi e nuovi, del Sud del mondo. Con un obiettivo chiaro, almeno per chi vuol vedere, che va oltre l’interesse nazionale: sottrarre, nel contesto multipolare, quanti più attori alle sirene degli imperi che intendono mettere in discussione, oltre l’Occidente lato sensu, lo stesso impianto storico e valoriale che ha generato l’Europa di sempre.
A proposito di Europa: proprio qui, nel contesto – il Consiglio Ue – con il coefficiente di difficoltà politica più alto, è avvenuta la prova del nove della solidità ma anche del pragmatismo di Giorgia Meloni. Dal rovescio della piramide sul fronte immigrazione all’impianto delle regole da adattare alla crescita, dalla transizione ecologica («Con l’uomo dentro») all’individuazione di una strategia energetica comune, sono tanti i semi piantati dalla leader dei Conservatori in un consesso dove da troppo tempo mancava “un’invenzione” italiana. Pura antifragilità: capace di raccogliere l’attenzione, inedita, dei vertici Ue e l’adesione di tanti partner. È questo l’ingrediente “di casa” per un’Europa che deve dotarsi, questione esiziale, di una propria autonomia. Un orizzonte elementare per chi coltiva da sempre l’idea di un Continente-civiltà, dunque la ricostruzione di un’Europa “capacitante”. Soggetto politico perché frutto dell’anima delle sue Nazioni. Una sfida che investirà come mai prima le prossime Europee, con la destra italiana che si candida a diventare un “ricostituente” anche in chiave continentale. Proposito niente male per l’anno che verrà.

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