Ilaria Cucchi (ve la ricordate) è andata ad Ascoli Piceno per “portare la solidarietà” a Lorenza, una fornaia che il 25 aprile ha steso fuori dalla panetteria uno striscione che recitava “buono come il 25 aprile, bello come l’antifascismo”.
Il soggetto era il pane. Ora, Lorenza “è stata identificata dai vigili urbani perché quello striscione era una forma di pubblicità illegale”. L’onorevole Ilaria Cucchi è andata ad Ascoli e ha chiesto spiegazioni al sindaco, al prefetto e al questore. Perché? Forse perché, come ha rilevato qualcuno, non ha un cavolo da fare. E deve pur giustificare in qualche maniera quei 13 mila euro che le diamo (voi, io, tutti) ogni mese. 13 mila euro, più benefit assortiti.
Quello stesso giorno, il 25 aprile, a Genova un sindacalista Cgil è uscito da casa ma invece che al corteo è andato dai carabinieri per denunciare di essere stato minacciato, aggredito e picchiato da un gruppo di fascisti. E subito è scattato un corteo di solidarietà (stanno sempre pronti, dormono con la bandiera sotto il letto) e le dichiarazioni contro la pericolosa deriva neofascista.
Poi i carabinieri hanno scoperto che il sindacalista si era inventato tutto. Perché? Forse perché, come diceva Andy Warhol, un quarto d’ora di celebrità non si nega a nessuno. Nè alla fornaretta di Ascoli, nè al sindacalista patetico di Sestri Ponente che forse sperava in una candidatura nella premiata compagnia Fratoianni e Bonelli. O almeno in una scorta con auto blindata, che non si nega a nessuno. O una comparsata in tivù, su La Sette, o da Fabio Fazio. Così, per dire di essere vivi.