L’Argentina di Milei: la motosega funziona? 

Dopo un anno e mezzo di presidenza, è possibile valutare l’operato riformista di Javier Milei? 

In Italia, il dibattito è complesso, spesso polarizzato tra chi apprezza il suo approccio liberista e chi lo considera un rischio per l’equità sociale. Di Milei, infatti, si è detto di tutto ma pochi si soffermano sul suo background accademico, che è alla base del suo programma di governo. Economista con una lunga esperienza accademica in macroeconomia, ex docente universitario, consulente per HSBC, membro del B20 della Camera di Commercio Internazionale e del World Economic Forum dove si è occupato soprattutto di crescita economica che è diventata il cuore della sua azione politica.

Dopo la vittoria elettorale, il neopresidente non ha perso tempo. Ha avviato riforme strutturali per liberalizzare l’economia argentina, smantellando l’impianto peronista che ha caratterizzato i governi degli ultimi decenni con l’obiettivo di tagliare drasticamente la spesa pubblica, ridurre l’inflazione galoppante e favorire la crescita economica attirando investimenti esteri.

Com’è l’Argentina oggi, dopo 18 mesi? 

Secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), le riforme sui conti pubblici hanno avuto successo: la spesa pubblica è stata ridotta del 28%, il bilancio statale è sotto controllo e il PIL, dopo un calo iniziale dovuto ai tagli, è tornato a crescere con un +4,6% nel terzo trimestre 2024, come riportato dall’Instituto Nacional de Estadística y Censos (INDEC). L’inflazione, che nel 2023 toccava il 260% su base annua, è scesa al 22,7% tendenziale per il 2025, secondo le proiezioni dell’Agenzia ICE (luglio 2024). Obiettivi raggiunti, si potrebbe dire.

Nonostante ISPI riferisca che il Tasso di povertà sia salito dal 42% di dicembre 2023 al 54% nel primo semestre di presidenza, per poi scendere al 38,1% a fine 2024, secondo i dati INDEC registrando una riduzione di oltre il 9% in un anno, che rappresenta un risultato formidabile, alcuni media italiani tendono a sottolineare che non tutto quello che luccichi sia oro.

Testate come l’Huffington Post, infatti, indicano che l’aumento delle tariffe dei servizi pubblici nel 2024 ha gravato sulle famiglie, riducendo il beneficio dei miglioramenti nel reddito reale. I dati INDEC, però, mostrano che, nonostante un calo dei consumi del 3,2% nel primo anno di recessione dovuto ai tagli, la ripresa economica ha portato a un’accelerazione dei consumi nel 2024.

Il Fatto Quotidiano, poi, in un’intervista del 10 agosto 2024 al premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel dipinge un quadro fosco, descrivendo Milei come un presidente intento a smantellare la cultura e lo Stato, con politiche economiche orientate al mercato, visto quasi come un’entità diabolica che prelude a una deriva autoritaria. A questa visione si potrebbe opporre il motto reso celebre da Milton Friedman, anch’egli premio Nobel ma per l’economia: TANSTAAFL, ovvero “There ain’t no such thing as a free lunch”. Come ricordava Margaret Thatcher, non esistono soldi pubblici, solo soldi dei contribuenti e, in quest’ottica, Milei vuole gestire la finanza pubblica: evitando sprechi e allocando risorse in modo efficiente, perché nulla è gratis: qualcuno, prima o poi, deve pagare il conto.

L’Argentina, infatti, versava in una situazione drammatica, con default ciclici da settant’anni e un’economia devastata dal populismo kirchnerista, che aveva ampliato l’influenza dello Stato con immissione di liquidità, indebitamento continuo e barriere protezionistiche. La presidenza di Mauricio Macri aveva tentato riforme di mercato, ma insufficienti in un contesto così deteriorato, tanto che il successore Fernández, in linea con il kirchnerismo, portò al default tecnico nel 2020, con una ristrutturazione del debito estero.

La sfida di Milei e della sua coalizione La Libertad Avanza è ambiziosa: trasformare uno Stato statalista in un’economia di mercato dinamica, seguendo i principi di libertà economica di Friedrich Hayek e il piglio libertario di Murray Rothbard. Curiosamente, certa stampa italiana e alcune fazioni politiche dipingono Milei come estremista di destra, ma il suo approccio liberista e libertario si avvicina più a figure come Marco Pannella o Antonio Martino, difficilmente definibili tali senza una certa dose di disonestà intellettuale.

Torniamo alla domanda iniziale: la “motosega” funziona? 

I numeri parlano chiaro: il PIL cresce, l’inflazione crolla, la povertà è scesa rispetto a dicembre 2023 e il Fondo Monetario Internazionale ha approvato le riforme con un piano quadriennale da 20 miliardi di dollari per consolidare stabilità macroeconomica e crescita sostenibile, subordinato al mantenimento dell’austerità, alla liberalizzazione dei mercati e al controllo dell’inflazione. La cura shock di Milei, che Macri non ebbe il coraggio di portare a termine, è stata giudicata la via corretta per riportare l’Argentina alla prosperità e reinserirla nel panorama economico globale.

Ma il modello è esportabile? 

Difficile dirlo. L’Argentina, segnata da decenni di malapolitica, clientelismo e marginalità internazionale, aveva bisogno di una “motosega”. Prima dell’elezione di Milei, l’economia argentina era in una spirale di crisi: un’inflazione fuori controllo al 260% annuo, un debito pubblico insostenibile, un’industria soffocata da protezionismo e burocrazia, e un settore produttivo in declino, con imprese strangolate da tasse e controlli sui prezzi che scoraggiavano investimenti. La povertà colpiva oltre il 40% della popolazione, e la fiducia degli investitori esteri era ai minimi storici, con l’Argentina relegata a un ruolo marginale nei mercati globali. In contesti come l’Italia, ad esempio, pur necessitando di una cura riformista molto pesante un’azione così estrema potrebbe essere controproducente, rischiando di colpire un tessuto economico che ha mostrato negli anni una grande resilienza nonostante una gestione pubblica spesso discutibile. Qui serve un approccio più graduale, come dimostrato dall’operato del governo Meloni. 

Pur condividendo l’ambizione di riportare l’Italia in un ciclo virtuoso di crescita e sostenibilità della finanza pubblica, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha scelto un modello di medio-lungo periodo, evitando shock economici che potrebbero destabilizzare il sistema. Attraverso riforme mirate, come la razionalizzazione della spesa pubblica, incentivi agli investimenti privati e una gestione prudente del debito, il governo sta costruendo una traiettoria di crescita stabile, senza sacrificare la coesione sociale. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, premiato da The Banker del Financial Times come il miglior ministro dell’economia al mondo, incarna questa visione: un riformismo pragmatico che bilancia rigore e gradualità, adattandosi alle peculiarità italiane. La “motosega” di Milei, in definitiva, funziona in Argentina ma ogni Paese richiede una cura su misura e l’Italia sembra aver trovato la sua.

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Matteo Gianola
Matteo Gianola
Fin da piccolo amavo scrivere e comunicare quello che pensavo e quello che sapevo (potrei dire anche quello che credevo di sapere) perché solo dal confronto può innescarsi una crescita personale e, anche, collettiva. Dopo la laurea in economia e l’inizio del lavoro in banca ho tentato di seguire quello che amavo, iniziano a scrivere per testate come the Fielder, Quelsi, e l’Informale fino a giungere a In Terris e, oggi, pure qui. Mi occupo principalmente di economia, politica e innovazione digitale, talvolta sconfinando anche nella mia passione, la musica.

1 COMMENT

  1. Eppure sì, credo che il modello Milei sia esportabile e debba essere esportato in Italia.
    E’ ovvio che “esportare” non significa adottare gli stessi provvedimenti, ma la linea politica, i valori, la strategia.
    L’Argentina aveva una inflazione del 260%, non dimentichiamolo.
    In Italia, grazie anche all’Euro, che ha arginato la volontà di politici scellerati di drogare l’economia e “abolire la povertà” aprendo le cataratte della spesa pubblica, l’inflazione del 10% dopo la crisi energetica legata alla guerra creò già – giustamente – forti allarmi.
    Ma i caposaldi della politica di Milei devono essere accolti.
    Taglio della spesa pubblica, basta spesa pubblica per mantenera falsa occupazione (la motosega!).
    Taglio delle tasse, basta con l’ammazzare di tasse chi lavora per mantenere aziende decotte e stipendiati improduttivi.
    Uscita dello Stato dalle gestioni economiche, compresa ad esempio la RAI, che essendo pubblica ha tre volte i dipendenti di Mediaset e si mantiene con tasse contributi e pubblicità per foraggiare un tale carrozzone.
    Liberalizzazione delle attività economiche, e sostituzione dei controlli preventivi per l’autorizzazione delle attività economiche (fonte di corruttele) con controlli consuntivi. Certo così le amministrazioni pubbliche responsabili dei controlli dovrebbero lavorare, non rilasciare silenzi-assensi sulle dichiarazioni dei soggetti.
    Sarà bravo anche Giorgetti, ma è il ministro delle finanze, può solo vigilare su qualche sperpero, ma è tutto il Governo che dovrebbe avere più coraggio.
    Una proposta “alla Milei”: diamo ai lavoratori dipendenti tutto lo stipendio lordo, e rendiamoli responsabili – come era una volta – di pagare le loro tasse, che oggi pagano le aziende.
    Credete che la retorica delle “tasse sono bellissime”, come dichiarò a suo tempo il miliardario Tommaso Padoa-Schioppa, sopravviverebbe per qualche giorno?
    Lo so che il buon Giorgetti avrebbe un collasso se dovesse prospettarsi tale riforma, perchè avrebbe il fondato motivo di un crollo delle entrate. Ma non può pensare di mantenere consenso all’attuale sistema fiscale solo perchè le tasse le pagano solo aziende e autonomi; prima o poi – spero più prima che poi – salta tutto.

    con affetto

    Alessandro

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