“Laudate et benedicite mi Signore”. L’attualità del messaggio di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia.

Nel 1182, ad Assisi, nasceva Francesco, figlio di Pietro di Bernardone, un ricco mercante di stoffe preziose. Nei primi anni di vita, Francesco visse da giovane del suo tempo, affascinato dalla cultura cortese- cavalleresca. Si presenta egli stesso, nel suo Testamento, come un ragazzo che  viveva nei peccati e nella dissoluzione morale. Dopo aver preso parte alla guerra tra Assisi e Perugia ed aver vissuto da prigioniero per un anno, appena rilasciato, decise di assecondare la propria aspirazione a diventare cavaliere e, per questo, nel 1205 seguì il Conte Gentile nel suo viaggio verso la Puglia. È in questo preciso momento che la vita di Francesco cambia. Si legge nelle Fonti Francescane (la raccolta degli atti e degli scritti sulla sua vita): “E nel dormiveglia udì una voce interrogarlo: «Chi può meglio trattarti: il Signore o il servo?». Rispose: «Il Signore». Replicò la voce: «E allora perché abbandoni il Signore per il servo?»”.  Il giorno successivo Francesco fece ritorno a casa, in attesa che “Dio, del quale aveva udito la voce, gli rivelasse la sua volontà”.

Fu così che il giovane Francesco iniziò a trascorrere il suo tempo in solitudine, impegnato nella preghiera e nell’assistenza dei lebbrosi, così profondamente mutato da rinunciare alla propria eredità per vivere in povertà e penitenza.

Quella di Francesco d’Assisi, canonizzato nel 1228, è una storia di fede, d’amore ma anche di coraggio e di fermezza, di sacrificio. Osteggiato dalla Chiesa e dai potenti della sua epoca, perché predicava il ritorno alla povertà di Cristo, Francesco fu profondamente amato dalle persone comuni, alle quali raccontava una cristianità senza orpelli, vicina ai più bisognosi, vicina agli ultimi della terra; una cristianità essenziale, lontana dalle apparenze della Curia romana. Francesco, che amava la Natura e rispettava tutto il creato, tanto da dedicargli un Cantico immortale, tra le prime e più belle forme della poesia italiana nel quale parla alla Luna e al Sole; Francesco, che si spoglia dei suoi beni e che impone a sé stesso i sacrifici e le rinunce prima di chiedere la stessa cosa a chiunque altro. Diremmo oggi, predicava bene e razzolava allo stesso modo. Francesco, che dialogava con l’Islam durante le Crociate.

Ecco allora chiara la straordinaria attualità della vita e delle opere di San Francesco d’Assisi, 1000 anni prima di comunisti, ambientalisti, “gretini”, globalisti. Basta leggere la sua vita, è tutto lì: il valore della comunità, lo spirito di fratellanza e di uguaglianza, l’apertura al dialogo, il rispetto per la madre terra. Cosa allora rende Francesco così profondamente lontano dai rivoluzionari al caviale della nostra travagliata contemporaneità? Francesco non impone, conquista gli animi; non dimentica mai il posto dell’Uomo nel mondo, non considera i suoi simili ospiti scomodi ma insegna il rispetto per l’opera di Dio. Francesco non annulla la propria cultura, la propria identità, anzi, la difende fortemente, con coraggio, anche dinanzi al Sultano d’Egitto. Il “poverello d’Assisi” che si trasforma in ambasciatore di Pace in Medio Oriente, che si inoltra tra le linee nemiche disarmato, che suscita financo l’ammirazione dei suoi nemici. Francesco che non sale sul pulpito e non si copre di abiti preziosi ma si spoglia dei suoi privilegi e si siede con gli ultimi, con i reietti.

Francesco seguì letteralmente l’esempio di Cristo, e fu d’esempio per i molti che decisero di seguire i suoi insegnamenti per rinnovare lo spirito. Ricevette le stimmate di Cristo sulle mani e sui piedi, poco prima di morire, il 4 ottobre 1226.

Oggi, nel giorno della sua morte, la Chiesa Cattolica ha celebrato San Francesco, patrono d’Italia, e quindi il più italiano dei Santi. Ora che acceso è il dibattito sull’accoglienza e su cosa sia l’integrazione, è interessante leggere quanto Francesco ebbe a dire al Sultano Al-Malik Al-Kamil, così come raccontato nelle Fonti Francescane: “Il Sultano sottopose a Francesco D’Assisi un’altra questione: “II vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vuol togliervi la tonaca,dunque voi cristiani non dovreste imbracciare armi e combattere i vostri nemici”. Rispose il beato Francesco:”Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Il perdono di cui Cristo parla non è un perdono folle, cieco, incondizionato, ma un perdono meritato. Gesù infatti ha detto: “Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle ai porci, perché non le calpestino e, rivoltandosi, vi sbranino”.

Infatti il Signore ha voluto dirci che la misericordia va dispensata a tutti, anche a chi non la merita, ma che almeno sia capace di comprenderla e farne frutto, e non a chi è disposto ad errare con la stessa tenacia e convinzione di prima. Altrove, oltretutto, è detto: “Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te”. E, con questo, Gesù ha voluto insegnarci che, se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell’occhio, dovremmo essere disposti ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tentasse di allontanarci dalla fede e dall’amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo massima giustizia quando vi combattono, perché voi avete invaso delle terre cristiane e conquistato Gerusalemme, progettate di invadere l’Europa intera, oltraggiate il Santo Sepolcro, distruggete chiese, uccidete tutti i cristiani che vi capitano tra le mani, bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla sua religione quanti uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare, adorare, o magari solo rispettare il Creatore e Redentore del mondo e lasciare in pace i cristiani, allora essi vi amerebbero come se stessi”.

Il dialogo nasce sempre e solo dal rispetto reciproco, nasce solo laddove ciascuno sia disposto ad aprirsi alla comprensione dell’altro ma senza sottomettersi, senza falsa retorica; nasce laddove forti e sicuri della propria identità, si ha il coraggio di confrontarsi, mantenendo salde radici e rami protesi all’incontro. Ce lo insegna Francesco. Ovviamente, Francesco d’Assisi.

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