L’Autonomia delle Regioni è migliore se accompagnata dal Presidenzialismo

Il tema di una maggiore autonomia, amministrativa e fiscale, delle Regioni italiane è tornato a riprendersi il proprio spazio nel dibattito politico e giornalistico. Nel 2001 vi fu la riforma del titolo V della Costituzione e la formulazione del comma 3 dell’art. 116. Da allora, le amministrazioni regionali, beninteso, a capo di Regioni a statuto ordinario, hanno la facoltà di chiedere al Governo centrale, e negoziare, maggiori competenze e livelli di autonomia. A tal proposito, finora è avvenuto ben poco sul piano pratico e possiamo segnalare soltanto i referendum consultivi sull’autonomia tenuti nel 2017 in Lombardia e in Veneto, e i successivi accordi preliminari stretti fra queste due Regioni, con l’aggiunta dell’Emilia Romagna, e Roma. Accordi tuttavia relegati in una sorta di limbo dall’avvicendarsi di governi diversi e dall’irruzione di emergenze più gravi. Quindi, è normale che oggi si voglia riprendere un discorso lasciato in sospeso ed è anche giusto che vi sia l’intenzione di non eludere quanto espresso dai cittadini lombardi e veneti attraverso i referendum del 2017, conclusisi con una maggioranza favorevole ad una più ampia autonomia regionale. Così com’è corretto non ignorare le istanze presentate anche da altre giunte regionali di differenti colori politici. Il Governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, dice che l’Autonomia va fatta e va fatta bene. Senz’altro, un regionalismo differenziato, già previsto dalla riforma del titolo V, fatto bene non deve moltiplicare i centri di spesa, (l’Italia è satura di spese pubbliche incontrollate), bensì razionalizza il denaro versato dal contribuente e migliora l’efficienza di servizi e prestazioni. Crea inoltre una competizione virtuosa fra gli Enti locali, e chi ha fatto sempre un po’ peggio degli altri, in termini di gestione del bilancio e di qualità dei servizi offerti, è spinto a fare più la formica che la cicala. Le opposizioni parlamentari, anche se non tutti i loro amministratori ed esponenti locali la pensano così, affermano che la cosiddetta autonomia differenziata possa scavare un solco ancora più profondo tra le Regioni ricche e quelle meno ricche del Paese. In sostanza, chi è già povero diventerà ancora più povero. È bene sottolineare, fra le altre cose, la natura tristemente storica del gap che separa il Nord Italia dal Mezzogiorno e che purtroppo si è radicato anche in presenza di una impostazione nazionale centralistica. Il Governo Meloni è ben consapevole dei tanti divari che affliggono la nostra nazione. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, rispondendo pochi giorni fa alla Camera durante un Question time, ha fornito rassicurazioni sull’uso del criterio della spesa storica per il quale non vi saranno alterazioni nella distribuzione di risorse alle varie Regioni. Nessuna Regione potrà ricevere meno risorse rispetto a quelle attuali, nessuna Regione potrà riceverne di più. Questo, in attesa della completa definizione dei LEP, ovvero i livelli essenziali delle prestazioni in merito ai quali il ministro Ciriani ha promesso un’accelerazione da parte del Governo. I LEP, sempre delineati dal Governo centrale, rappresentano uno strumento che permette di fissare un livello minimo dell’offerta di servizi e prestazioni sotto il quale nessuna Regione d’Italia, indipendentemente dal proprio grado di autonomia, può andare. Nessuno può regredire, ma c’è invece l’opportunità di migliorare, nel quadro di un regionalismo differenziato e competitivo. Luca Ciriani ha di fatto parlato anche a nome del proprio collega, responsabile del dicastero degli Affari regionali e delle Autonomie, Roberto Calderoli, autore di una bozza di disegno di legge di attuazione dell’Art. 116 della Costituzione. È chiaro che il miglior federalismo è quello accompagnato da un potere centrale stabile e autorevole, che esercita una funzione di equilibrio e di tutela della coesione nazionale. Ciò che può produrre un esecutivo centrale dotato di un’autorevolezza conferitagli dagli elettori e capace di portare a termine il proprio mandato, senza subire ricatti da parte dei partiti, è soprattutto un impianto istituzionale di stampo presidenziale, all’americana, o quantomeno semipresidenziale, alla francese. In Italia abbiamo oggi, finalmente, un Governo con una chiara natura politica, che costituisce ciò che gli italiani hanno voluto, ma, in questa Repubblica parlamentare, regolata spesso da leggi elettorali un po’ bislacche, quanti governi poco rappresentativi e nati da manovre di Palazzo abbiamo avuto finora? E quanti governi sono stati costretti a chiudere i battenti anzitempo a causa di personalismi e fibrillazioni fra partiti? Troppi e il loro numero ci consiglia di andare nella direzione di una grande riforma presidenzialista. Certo, questi sono tempi complicati che richiedono un approccio graduale, (il senso di responsabilità del Governo Meloni, che porta a fare le cose, farle bene e renderle durature, ma poco alla volta, è legato alle difficoltà di questa fase storica). Tuttavia, si può iniziare già ora ad inserire qualche tassello nella prospettiva dell’instaurazione, anche in Italia, della democrazia diretta. Fra l’altro, la maggioranza che sorregge questo Governo si troverebbe in linea con le intuizioni del vecchio centrodestra a trazione berlusconiana, che ricercava la sintesi fra le aspirazioni presidenzialiste di Alleanza Nazionale, le istanze federaliste della Lega Nord di Umberto Bossi e le posizioni liberali di Forza Italia. In conclusione, in una Repubblica presidenziale, anche in presenza di marcate autonomie territoriali, ben difficilmente potrebbero affacciarsi dei mini-stati all’interno dello Stato.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

2 Commenti

  1. Tutto ottimo, ma come mai non ponete in discussione la durata del secondo mandato Mattarella? La Costituzione non prevede 14 anni di presidenza della Repubblica e lui sta zitto zitto dunque sembra voglia restare in carica per tutto il settennato. Non si può sdoganare in questo modo un duplice settennato, dunque per favore che qualcuno sollevi la questione del ritiro di Mattarella e dell’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica anche alla luce del nuovo Parlamento formatosi dopo le elezioni. No alla prolunghissima di un Presidente che non ha difeso la Costituzione Italiana come da suo dovere.

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