La cronaca recente ha riportato con forza il tema dell’uso del Taser da parte delle forze dell’ordine. A Bologna, un uomo armato di forbici ha seminato il panico tra famiglie e passanti, ferendo cittadini e opponendosi ai carabinieri. Solo l’uso della pistola a impulsi elettrici ha permesso di fermarlo immediatamente, evitando conseguenze più gravi.
Episodi come questo mostrano con chiarezza quanto il Taser sia oggi uno strumento necessario per garantire l’incolumità pubblica e per proteggere chi ha il compito di difendere la collettività.
Il dibattito non è nuovo. Già altre città, come Olbia e Genova, sono state teatro di fatti tragici che hanno acceso polemiche. In quei casi, due uomini sono deceduti dopo essere stati sottoposti a scariche elettriche. Le indagini dovranno chiarire circostanze e responsabilità, ma resta evidente un punto: il Taser è concepito come alternativa non letale alle armi da fuoco. Non un mezzo di offesa, bensì uno strumento di contenimento, destinato a neutralizzare soggetti violenti o fuori controllo senza ricorrere alla pistola.
La politica, come sempre, si divide. Da un lato chi invoca prudenza e chi, spesso per motivi ideologici, descrive il Taser come uno strumento di repressione o addirittura di tortura. Dall’altro, chi ne sottolinea il valore come deterrente, come garanzia di sicurezza e come protezione per gli stessi operatori in divisa.
Su questo fronte è intervenuto Andrea Delmastro delle Vedove, deputato di Fratelli d’Italia e sottosegretario alla Giustizia, dichiarando: «Come per un riflesso pavloviano irresistibile, ogni sciagura è la scusa buona per la sinistra per disarmare le nostre forze dell’ordine, le nostre divise. Il taser non è strumento di ‘tortura’, ma di deterrenza e di sicurezza, necessario per vincere resistenze che sconfinano, spesso, in aggressioni fisiche. Nessuno stop al taser il cui corretto utilizzo quotidianamente agevola la deterrenza e garantisce sicurezza». Parole chiare, che mettono a fuoco il cuore della questione.
Perché il punto è proprio questo: in un contesto sociale sempre più complesso, con episodi di violenza improvvisa, con persone sotto effetto di droghe o in stato di alterazione psicologica, i carabinieri e la polizia devono avere strumenti adeguati. Il Taser è parte di questa risposta. È una tecnologia che consente di fermare un aggressore senza ucciderlo, riducendo drasticamente il rischio di tragedie. Dove non c’è il Taser, c’è la pistola. Ed è proprio per evitare che ogni intervento degeneri in spari e sangue che serve insistere sulla sua diffusione.
Naturalmente, nessuno sostiene un utilizzo indiscriminato. Le regole di ingaggio sono chiare e stringenti: si può usare il Taser solo di fronte a soggetti realmente pericolosi, che minacciano l’incolumità di altri o degli agenti stessi. Le stesse statistiche dimostrano che nella maggior parte dei casi la semplice minaccia del Taser, l’estrazione dell’arma e l’avvertimento, sono sufficienti a fermare l’escalation di violenza. È proprio questa la sua funzione: dissuadere e immobilizzare, non punire.
Sarebbe quindi un errore farsi trascinare da polemiche ideologiche. Certo, ogni morte è una tragedia e ogni episodio va indagato con serietà. Ma trasformare casi isolati in argomenti per disarmare le forze dell’ordine significa condannarle a un ruolo di impotenza, esponendo cittadini e operatori a rischi ancora maggiori. Le critiche che riducono il Taser a un simbolo di violenza statale tradiscono una visione parziale, incapace di riconoscere il contesto reale in cui lavorano poliziotti e carabinieri.
Il tema della sicurezza non può essere affrontato solo con slogan o con nostalgie ideologiche. Non è un capriccio politico: è un bisogno concreto delle comunità, dei quartieri, delle famiglie che vogliono vivere senza paura. Ed è un dovere dello Stato garantire strumenti proporzionati, efficaci e moderni a chi ogni giorno rischia la vita per difendere quella degli altri.
Il taser non è un lusso, ma un presidio di civiltà. Non sostituisce la professionalità degli uomini in divisa, ma la rafforza. Non elimina il rischio, ma lo riduce. E soprattutto non è un segno di violenza, ma di tutela. La sicurezza dei cittadini e la dignità delle forze dell’ordine passano anche da qui.