Quando e se una prostituta nigeriana decide di tornare nel suo paese, lo fa con un bel gruzzolo e con la certezza che il suo passato non le sarà di ostacolo nel futuro, ma che anzi le conferirà un ottimo status sociale. Non lo diciamo noi ma un’informativa del ministero degli Interni inglese, che in patria ha provocato indignazione tra tanti benpensanti, ma che in realtà sembra aver descritto lo stato dei fatti senza andarci troppo lontano.
Questa conclusione si trova in una nota informativa ufficiale riguardante una ricerca sul traffico delle donne dalla Nigeria. La guida è stata aggiornata per includere un paragrafo sulle prospettive delle donne vittime della tratta nel caso di ritorno nel loro paese, citando rapporti UE e australiani che fanno osservazioni simili. Il paragrafo, precisamente, recita: “Donne incappate nel traffico della prostituzione che ritornano dall’Europa, benestanti, godono di un elevato status socio-economico e in generale non sono soggette ad atteggiamenti negativi. Spesso sono tenute in grande considerazione perché hanno ricchezze superiori alla media dei connazionali.” Inoltre, si specifica anche che donne già sfruttate dal racket e che decidono di tornare a casa, difficilmente verranno prese nuovamente di mira dal racket stesso.
Tra le tante voci che si sono alzate contro queste considerazioni, quella della dottoressa Charlotte Proudman, avvocato dei diritti umani che rappresenta donne e ragazze in casi di violenza, in particolare riguardo alle mutilazioni dei genitali femminili. La Proudman ha detto: “Le donne che rappresento nei tribunali dell’immigrazione spesso soffrono di PTSD [disturbo da stress post-traumatico] e sono sempre indigenti. Di solito sono state violentati ripetutamente e picchiate e la loro famiglia le ha rinnegate. Alcune addirittura corrono il rischio di rappresaglie violente al loro ritorno a casa. L’abuso che sperimentano è simile alla schiavitù.”
Dunque, dove sta la verità? Come sempre, nel mezzo. A tanti casi di donne rapite dal racket, o fatte arrivare in Europa con l’inganno e la promessa di un buon lavoro e una vita migliore, ce ne sono altrettante che arrivano qui sapendo benissimo quello che vanno a fare, e avendo già pianificato tempi e guadagni prima del ritorno a casa. E’ impensabile infatti credere che nel 2019, con il massiccio utilizzo che tutti fanno di internet e dei telefonini, in Nigeria non sia arrivata voce del tipo di lavoro per il quale le ragazze, spesso giovanissime, vengono reclutate. Inutile parlare poi delle donne che fanno parte integrante del racket come “maman”, cioè organizzatrici della tratta e “controllori” delle prostitute stesse. Donne come la 35enne arrestata presso l’aeroporto di Orio al Serio, ritenuta ai vertici dell’organizzazione e che fino a poco prima risultava rifugiata politica. Per quanto riguarda poi l’atteggiamento eventuale della famiglia nei confronti delle ragazze al loro ritorno, anche qui la situazione è molto variabile, e spesso dipende dalla religione professata, che trova gli islamici molto meno disposti all’accoglienza. Ma è pur vero che il racket fatica senz’altro di più a portare via ragazze da famiglie mussulmane, piuttosto che da famiglia di altri credi religiosi.
Drammatici i numeri del racket: 6.000 donne nigeriane vengono portate ogni anno in Europa a scopo di sfruttamento sessuale, per un giro d’affari annuo di oltre 228 milioni di dollari.