Signor Primo Ministro della Repubblica di Croazia, Andrej Plenković,
Signor Sindaco di Fiume, Vojko Obersnel
Con sorpresa e dolore abbiamo appreso della posa di un monumento raffigurante la Stella Rossa sul tetto del grattacielo di Fiume. Con incredulità abbiamo letto che il Monumento alla Fiume rossa – monumento di autodifesa rientra nell’ambito del progetto Rijeka 2020, Capitale Europea della Cultura e sarebbe stato realizzato con finanziamenti dell’Unione Europea. Per il modo in cui è stato presentato, percepiamo questo monumento come oltraggioso, anti-storico ed ai limiti della legalità. Esso offende gli Italiani quattro volte: perché è un oltraggio agli esuli e alle vittime delle foibe, perché equipara tutti gli Italiani ai fascisti, perché non riconosce il carattere pluri-etnico e pluri-culturale della città di Fiume, e perché è in contraddizione con il senso di cittadinanza europea.
Il monumento richiama esplicitamente la Stella Rossa a cinque punte che fu installata nel medesimo posto nel secondo dopoguerra e che era accompagnata dalla scritta a lettere cubitali “TITO”. Secondo l’autore dell’opera, l’artista fiumano Nemanja Cvijanović formatosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia, «nella sua simbologia primaria, questa stella curva e tronca, comunica il paradosso di un’eredità antifascista rifiutata ma pur sempre “pericolosa”, ma anche rivoluzionaria come simbolo del movimento operaio internazionale e della lotta per una società più giusta». Ci domandiamo di quale senso di giustizia possa essere portatrice l’ideologia «antifascista rivoluzionaria come simbolo del movimento operaio internazionale», la quale ha perseguìto l’annullamento delle peculiarità proprie di ciascun individuo e di ciascun popolo in una logica di livellamento, materiale e immateriale, verso il basso e attraverso lo strumento della violenza. Siamo stati tutti testimoni – Italiani, Croati e tutte le nazionalità che abitavano la regione istriano-dalmata – delle atrocità compiute in quella regione dai portatori di quella ideologia, nella sua declinazione iugoslava e titina. Ci chiediamo se i 350.000 profughi italiani di Istria e Dalmazia e tutti quelli che furono vittime dell’opera di pulizia etnica, espulsione forzata e sterminio nelle foibe, rappresentassero il sacrificio umano da compiere per realizzare «una società più giusta». Condividiamo la scelta di dedicare un evento – L’ambiente del ricordo: l’arte come resistenza alla repressione – alle vittime innocenti massacrate nel gulag titino dell’isola Calva. Tuttavia, non capiamo perché queste vittime meritino di essere ricordate mentre le altre non lo meritino.
Secondo le intenzioni dell’artista, le 2.800 schegge di vetro rosso dovrebbero ricordare i 2.800 partigiani titini che persero la vita nella battaglia per la conquista di Fiume. Secondo autorevoli storici croati (Petar Strčić, Anton Giron, Mihael Sobolevski), il numero effettivo di perdite titine oscillerebbe in realtà tra le 350 e le 500 unità. Nessun riferimento invece alle vittime italiane, discendenti di italiani che avevano abitato Fiume e la regione per secoli. Ufficialmente responsabili di essere fascisti o complici del regime fascista, in realtà colpevoli di essere italiani e di non voler rinnegare la propria italianità. L’equivoca equazione “italiano uguale fascista” e quindi da eliminare, fu un terribile quanto efficace strumento di propaganda titino-comunista la cui èco purtroppo risuona talvolta ancora in persone influenzate da una storiografia di parte. Tale propaganda giustificò la pulizia etnica perpetrata a danno degli italiani. E tale equazione è un falso storico. Ne è prova l’esecuzione di cui furono vittime, dopo la presa della città da parte dei titini il 3 maggio 1945, circa 600 persone tra le quali non vi erano solo fascisti dichiarati ma anche autonomisti apertamente anti-fascisti, militanti del Partito Com
unista Fiumano e perfino l’ebreo Angelo Adam reduce da Dachau. Seppur l’adesione al fascismo in Italia, e quindi anche nei territori istriano-dalmati del Regno d’Italia, sia stata un fenomeno diffuso, quell’equazione non tiene. Sia perché non tiene conto degli oppositori al regime, sia soprattutto perché non considera tutti quegli italiani “silenziosi” che subirono il regime fascista senza aderirvi o sostenerlo apertamente. L’enorme schiera di vittime italiane innocenti fu il capro espiatorio su cui il regime titino attuò con ferocia il proprio progetto di de-italianizzazione e slavizzazione della regione. Per fortuna, il grattacielo che funge da cornice alla Stella Rossa è lì a ricordarci della presenza italiana a Fiume visto che fu progettato dall’architetto italiano Umberto Nordio dietro commissione del fiumano italiano Enrico de Arbori.
Il 19 settembre 2019 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione intitolata Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa, un documento presentato congiuntamente da membri dei principali gruppi per commemorare l’anniversario degli 80 anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale. L’Europarlamento «condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari… tra i quali anche il regime di Josip Broz (alias Tito)», «esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti» e «in alcuni stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste». Il “monumento” è stato rimosso il 6 ottobre. Gli organizzatori di Rijeka 2020, Capitale Europea della Cultura devono probabilmente aver compreso della dissonanza dell’opera con i valori europei quando ormai era troppo tardi, forse anche in seguito alle manifestazioni di cittadini scandalizzati e offesi.
Come ben sapete, dal Medioevo in poi, l’antica Flumen romana si caratterizza per l’elevato grado di autonomia che riesce a conservare pur passando sotto la sovranità di signorìe diverse. Sebbene mai governata dalla Serenissima, l’influenza e rivalità con Venezia è molto forte, tanto che l’architettura e la lingua della città di San Marco definiscono i caratteri della città quarnerina. Ma il proprio spirito di autonomia e l’insofferenza per ogni forma di controllo stretto da parte degli Stati vicini consentono ai fiumani di respingere tutti i tentativi di annessione fino al 1924: quello del 1776 quando la sovranità della città viene trasferita al Regno di Ungheria e sottoposta alla gestione amministrativa del Banato di Croazia, ma i fiumani ottengono lo status di Corpus Separatum; quello del 1848 quando per premiare la fedeltà dei Croati durante la rivoluzione l’imperatore d’Austria riconsegna la tutela amministrativa della città al governo di Zagabria, ma i fiumani riconquistano lo status di Corpus Separatum; e quello del 1898 col fallito tentativo d’imposizione in città dell’ordinamento scolastico ungherese. È anche a causa di questi tentativi di assimilazione forzata che nascono movimenti irredentisti come la «Giovine Fiume» e che, sul finire della Prima guerra mondiale, il Consiglio Nazionale Italiano ne reclama l’annessione all’Italia ed il Consiglio Nazionale Croato ne chiede l’annessione al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Ma la commissione inviata a Fiume dalla conferenza di pace non può che constatare la realtà comune a molte città costiere della Dalmazia: il centro cittadino è senza dubbio a larga maggioranza italiano, mentre nell’entroterra a ridosso della città l’elemento dominante è quello croato. Una città del genere ha un carattere peculiare di cui occorre tener conto nella definizione della sua struttura di governo. E’ con queste premesse che si arriva alla conferenza di Rapallo con cui il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabiliscono che Fiume sarà uno Stato libero.
Il sottotitolo della manifestazione Rijeka 2020, Capitale Europea della Cultura è Porto della diversità, mentre uno dei segmenti tematici è l’Era del potere. Dal sito dell’evento leggiamo che esso «è basato sul concetto di Fiume come laboratorio di storia europea e parla delle diverse forme e dei rapporti di potere… La storia di Fiume è uno specchio dell’Europa – L’età del potere indaga i mutamenti storici, il significato attuale del concetto, la struttura, le esperienze e le prestazioni del potere». A seguito della nostra visita non siamo in grado di testimoniare che la manifestazione indaghi realmente «le diverse forme, le esperienze e le prestazioni di potere». Essa sembra essere sbilanciata ideologicamente e culturalmente, dando una rappresentazione parziale della storia composita e dello spirito “libero” e originale della città. Apprendiamo con dispiacere che, a sette anni dall’ingresso della Repubblica di Croazia nell’Unione Europea, la comunità italiana di Fiume è stata quasi interamente esclusa dagli eventi in seno alla manifestazione.
Sarebbe stato un atto di giustizia nei confronti della verità storica presentare, per esempio, accanto ai legittimi e condivisibili «valori dell’Europa contemporanea, forti nella loro unità, che si oppongono al fascismo storico e contemporaneo», anche quelli che, tra i princìpi ispiratori dei due Stati che governarono la città tra il 1919 e il 1922, ritroviamo nell’Europa di oggi. Il primo di questi Stati fu la Reggenza del Carnaro istituita con l’arrivo di D’Annunzio nel settembre del 1919. Ricordiamo agli organizzatori che l’unico soggetto internazionale a riconoscere lo Stato dannunziano fu l’Unione Sovietica di Lenin, il quale guardava con simpatia a quell’esperimento per via delle tutele che il suo ordinamento riservava ai diritti dei lavoratori. Fatto sta che il Capo di gabinetto del piccolo Stato fu il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris. Questi fu la mente della Carta del Carnaro, costituzione ricca di spinte sociali, nonché subito dopo la fine dell’avventura dannunziana strenuo oppositore del regime fascista. La Carta del Carnaro non fu solamente l’atto con cui lo Stato guidato da D’Annunzio formalizzava il proprio desiderio di unirsi all’Italia, e per questo comprensibilmente osteggiato dalla popolazione croata. Essa fu anche la base giuridica che consentì ad una avanguardia culturale di sperimentare forme di «democrazia diretta… di tutti i cittadini senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di classe e di religione», di garantire a tutti i cittadini i diritti sociali che sono oggi alla base dello stato sociale europeo e di mettere in atto forme di libertà civile – come il divorzio, l’amore omosessuale e il libero uso di alcol e di droghe – anti-conformiste per la mentalità dell’epoca.
L’altro Stato fu lo Stato libero di Fiume, guidato dal Partito autonomista di Riccardo Zanella nonché membro della Società delle Nazioni. Oppositore del regime di D’Annunzio prima e di quello fascista poi, Zanella riportò la città nel solco della sua storia di autonomia dagli Stati confinanti. Costretto all’esilio sia dalla Reggenza del Carnaro che dall’Italia fascista che dalla Repubblica Socialista Federale di Iugoslavia, non cessò mai di lottare per una Fiume autodeterminantesi, e dopo la Seconda guerra mondiale guidò il governo dello Stato libero di Fiume in esilio. L’ironìa della sorte ha voluto che il palazzo del Museo di Marineria e Storia dove si tiene la mostra l’olocausta di D’Annunzio si trovi nella piazza intitolata a Zanella.
Rijeka 2020 avrebbe potuto essere l’occasione per la città e la Repubblica di Croazia di dimostrare al mondo di essere state capaci di fare pace con il proprio doloroso passato, di aver voltato pagina dopo le sanguinose vicende del secondo dopoguerra e degli anni ’90, di riconciliare le variegate anime su cui affondano la propria storia, di riconoscere l’apporto di ciascuna componente culturale al proprio patrimonio pluri-nazionale e unico allo stesso tempo, di essersi lasciate alle spalle l’Europa balcanica per varcare la soglia dell’Europa delle cittadinanze. Ben venga la Stella rossa. Ben venga la commemorazione della battaglia di Fiume e della vittoria sul nazismo e sul fascismo. Ma solo se esse fanno parte di un arcipelago di valori condivisi in cui le idee diverse, le nazionalità diverse e le culture diverse che nel corso dei secoli hanno plasmato la storia di Fiume-Rijeka e della costa adriatica possano co-esistere ed avere uguale dignità. Che la Stella rossa non sia la Stella rossa e basta. Deve essere la Stella rossa iugoslava sul tetto del “Grattacielo italiano” affacciato su Piazza dell’Adriatico, la piazza di una città della “nuova Croazia” sulla quale metaforicamente si incontrano tutte le culture del nostro mare comune.
La Repubblica Italiana e la Repubblica di Slovenia hanno intrapreso un faticoso cammino di riconciliazione fondata su una indagine congiunta e il più possibile oggettiva dei fatti storici tesa alla scrittura di una storia condivisa affinché gli errori del passato non abbiano a ripetersi. Sarebbe bello se Italiani e Croati potessero intraprendere un simile cammino. Rijeka 2020, Capitale Europea della Cultura potrebbe essere l’occasione ideale. Per questo motivo proponiamo l’organizzazione di una conferenza-dibattito, aperta alla partecipazione di storici italiani, croati e di altri Paesi, in cui iniziare a discutere apertamente e senza pregiudizi della nostra storia comune. La costruzione di una Europa pacificata dei popoli passa anche da confronti come questo.
Gaetano Massara
Complimenti per l’articolo! Una sola osservazione: forse sarebbe stato opportuno menzionare la Società di Studi Fiuman – Archivio Museo Storico di Fiume a Roma, che da anni si batte per il “ritorno” culturale italiano a Fiume e che ha di recente contribuito alla decisione della Municipalità fiumana di apporre nella Cittavecchia tabelle storiche in cui sono riportati gli odonimi italiani. Graizie comunque.
Giovanni Stelli
presidente della Società di Studi Fiumani