L’Europa dorme: Giorgia tratta tu con Trump, altrimenti sono dazi

La sinistra europea strilla, si straccia le vesti; i dazi annunciati da Donald Trump nei confronti dell’Unione Europea vengono raccontati come un atto di guerra commerciale, un fulmine a ciel sereno. Ma la realtà è un’altra: siamo di fronte al prodotto di un continente appesantito da decenni di autolesionismo ideologico.

Quelli che oggi piangono sono gli stessi che hanno svenduto l’Europa alla Cina, distrutto l’industria con trattati suicidi e imposto il dogma del Green Deal. Il problema non sono i dazi. Il problema è che Trump ha acceso una luce impietosa sulle nostre debolezze. E la verità dà fastidio.

Mentre i burocrati di Bruxelles si rifugiano nell’ennesimo vertice inconcludente, Giorgia Meloni si era già mossa. L’incontro del 17 aprile scorso con Donald Trump alla Casa Bianca è stato l’apice di un lavoro diplomatico serio e lungimirante.

Meloni aveva capito prima degli altri quanto fosse alta la posta in gioco: evitare uno scontro frontale tra UE e USA e aprire la strada a un accordo commerciale equilibrato. Non per sottomettersi, ma per difendere il tessuto produttivo europeo e soprattutto italiano, fatto di piccole e medie imprese. Ma l’Europa – come sempre accade – ha preferito non decidere. E ora si trova a piangere sulle conseguenze di una paralisi che dura da troppo tempo.

Eppure, i responsabili sono sotto gli occhi di tutti: i figli politici di Romano Prodi, quelli che hanno sacrificato l’interesse nazionale sull’altare del globalismo. Prima spalancando le porte alla concorrenza sleale cinese, poi strangolando le imprese con un ambientalismo ideologico e tecnocratico. Sono loro ad aver costruito l’Europa della debolezza, dove il concetto di sovranità è diventato una parola proibita e il patriottismo un reato d’opinione.

Altro che Trump: il disastro è tutto loro. Hanno svenduto la manifattura, impoverito il ceto medio, condannato i giovani alla precarietà. Ora gridano allo scandalo, ma sono solo vittime della loro stessa propaganda.

Trump non è il problema, è il detonatore. Ha fatto saltare in aria la narrazione ipocrita secondo cui il libero mercato è un dogma, anche quando significa consegnarsi mani e piedi alle potenze ostili. Ha semplicemente fatto ciò che ogni leader dovrebbe fare: proteggere i suoi lavoratori, rilanciare l’economia nazionale, difendere la sua identità.

E in questo Giorgia Meloni ha dimostrato di essere all’altezza. Ha costruito un rapporto privilegiato con il Presidente americano, ha riconquistato credibilità a livello internazionale e ha tracciato una via alternativa al declino europeo.

Ora non si può più aspettare. L’Italia deve prendere in mano il proprio destino e trattare direttamente con Washington. Basta subire la burocrazia comunitaria. Dopo il suo colloquio con Trump, Giorgia Meloni disse che la gestione della trattativa era in capo all’UE e mise a disposizione Roma come sede per l’incontro ufficiale.

Era il 17 aprile. In 90 giorni i presunti leader europei hanno fatto l’opposto di quello che si deve fare con un tipo come Trump: organizzare inutili tavoli, parlare di regole e regolamenti anziché di soluzioni. Questo è il risultato.

Il nostro Presidente del Consiglio ce l’ha messa davvero tutta per mettere Von der Leyen nelle condizioni di portare a casa un buon accordo per tutti, ma non è colpa sua se l’UE si conferma un “nano politico”.

Di fronte alla prospettiva del disastro – che sarebbe aggravato da un’eventuale “risposta” firmata Ursula & Company – Giorgia dovrebbe sentirsi pienamente legittimata a trattare in autonomia con Trump le tariffe sulle merci italiane.

Oltre agli indubbi benefici per il Made in Italy (non è da escludere che all’Italia Trump conceda addirittura un regime di libero scambio), una negoziazione bilaterale Roma-Washington eliminerebbe ogni alibi ai globalisti: il punto vero è che loro non vogliono trattare sui dazi, perché sanno che sono lo strumento per mettere fine al loro modello. Il globalismo non si difende con la forza degli argomenti, ma con l’imposizione delle regole. E Trump, con Meloni, sta smontando quel sistema pezzo dopo pezzo.

La sinistra dovrebbe guardarsi allo specchio. I veri responsabili della nostra vulnerabilità economica sono loro, con le loro ideologie tossiche, la sudditanza alle élite finanziarie e il disprezzo per chi osa difendere l’interesse nazionale.

Donald Trump è il baluardo che ha rimesso al centro i valori della civiltà occidentale, spazzando via le follie della vulgata woke e riportando la parola pace al centro dell’agenda geopolitica internazionale, devastata da quattro anni di caos e guerre targati Joe Biden.

E in Donald Trump Giorgia Meloni ha trovato un interlocutore vero. Un alleato. Una sponda strategica con cui costruire un futuro che rimetta l’Italia e l’Occidente sui binari della realtà.

L’Europa dorme. Ma, con Giorgia, l’Italia si è svegliata da un pezzo.

Resta aggiornato

Invalid email address
Promettiamo di non inviarvi spam. È possibile annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.
Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente di marketing digitale, docente alla IATH Academy, è autore di 9 libri. È stato inviato di Vanity Fair alle elezioni USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.