La Commissione europea ha ribadito l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni inquinanti entro il 2040. Il target è stato inserito in una proposta di legge che dovrà poi essere negoziata tra il Parlamento e il Consiglio europei, e il nuovo traguardo che l’Unione Europea vorrebbe autoimporsi avrà bisogno del consenso dei Paesi membri per essere inserito nel Determined Contribution, ovvero, la posizione che l’UE porterà alla riunione delle Nazioni Unite COP30 che si svolgerà in Brasile il prossimo novembre.
Contrariamente alle parole d’ordine iniziali del Green Deal, la Commissione di Bruxelles, pur rilanciando la proposta di un pesante taglio del 90 per cento delle emissioni di Co2, prevede un approccio più flessibile. Viene prefigurata la possibilità di monetizzare sul mercato ETS, che è un sistema di negoziazione dei diritti di inquinamento, gli sforzi profusi per ridurre le emissioni, catturando, per esempio, i gas nel sottosuolo. Si vuole porre l’attenzione verso una indispensabile differenziazione fra Paese e Paese, settori economici e imprese. Del resto, sarebbe una follia suicida pretendere d’imperio, come pure si ragionava agli albori del Green Deal, che tutti i Paesi UE, a volte molto diversi tra di loro, tutti i campi dell’industria e tutte le imprese site in Europa, si adeguino all’unisono e attraverso le medesime tempistiche a degli obiettivi imposti dall’alto, da una cerchia di burocrati, peraltro non votati dal popolo come i governi nazionali, decisi a spingere su misure più ideologiche che ragionate senza alcuna cura per gli effetti economici negativi che possono essere provocati da certi provvedimenti e restrizioni dirigistiche.
Alcune Nazioni europee, magari quelle dove si fa ricorso all’energia nucleare, riescono a tenere il passo, altre no; determinati settori come quello dell’industria automobilistica richiedono enorme cautela perché non occorre molto per causare la chiusura di grandi stabilimenti produttivi e lasciare senza occupazione un numero drammatico di persone; le piccole e medie imprese hanno difficoltà strutturali ben differenti rispetto a quelle delle multinazionali. Nel testo della proposta legislativa è stato aggiunto il concetto della neutralità tecnologica per andare incontro ai Paesi che usano l’energia nucleare.
Il commissario europeo al clima, l’olandese Wopke Hoekstra, ha parlato del nucleare come parte della soluzione e ha esortato ad investire di più sull’atomo per garantire la disponibilità di elettricità. Ci vuole più nucleare e non meno, secondo il commissario. L’Unione Europea è nota per una certa lentezza che la penalizza di fronte agli altri grandi blocchi del mondo, e il ravvedimento riguardante il Green Deal iniziale sta avanzando con una velocità ancora troppo bassa, tuttavia, cominciano ad essere percepibili alcuni segnali positivi che fanno pensare al raggiungimento della convinzione da parte della Commissione UE e della sua presidente Ursula von der Leyen verso una diversa transizione ecologica motivata dalla ragionevole ricerca di più soluzioni, (nucleare, biocarburanti), da far convivere in ambito industriale e civile con i giusti stimoli e senza imposizioni in salsa sovietica.
Il Governo Meloni, che punta, fra l’altro, a rompere il tabù del nucleare in Italia, sta svolgendo un ruolo importante in Europa affinché si torni alla ragione in merito alle questioni ambientali e climatiche, e Bruxelles inizia a prestare attenzione, (il ritiro della direttiva sulle Green Claims è stato significativo), con buona pace dei socialisti europei e di Elly Schlein.