C’è un filo rosso che collega le cronache di questi giorni, da Berlino a Bucarest, da Londra a Parigi: è la stretta repressiva con cui l’establishment europeo sta tentando, disperatamente, di fermare l’onda sovranista che cresce dal basso, alimentata dalla frustrazione e dalla consapevolezza di milioni di cittadini.
Non siamo più davanti a semplici divergenze politiche: ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi è una vera e propria deriva autoritaria, mascherata da difesa della democrazia. Una contraddizione tragica e grottesca. Perché mentre le élite invocano lo stato di diritto, lo calpestano. Mentre parlano di libertà, incarcerano il dissenso. Mentre si definiscono antifasciste, impongono un pensiero unico che ha tutti i tratti di un nuovo totalitarismo ideologico.
In Germania, l’Ufficio Federale per la Protezione della Costituzione ha bollato l’AfD – partito votato dal 21% dei tedeschi alle ultime elezioni federali – come “organizzazione estremista di destra”. Un’etichetta pesante, che consente al governo di spiare, intercettare e infiltrare un’opposizione legittima. Una mossa che non ha precedenti nella storia recente della Germania democratica e che ha fatto saltare sulla sedia perfino oltreoceano: il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha parlato di «tirannia mascherata da democrazia», il Vicepresidente JD Vance ha denunciato la ricostruzione simbolica del Muro di Berlino, non più per mano dei sovietici, ma dei burocrati tedeschi.
È questo il livello dello scontro: una parte crescente dell’Occidente comincia ad aprire gli occhi su ciò che sta accadendo in Europa, dove chi vince le elezioni senza il benestare dell’establishment viene colpito, screditato, silenziato.
Lo stesso copione si ripete in Francia, dove Marine Le Pen è stata condannata e dichiarata ineleggibile, nonostante rappresenti milioni di cittadini francesi. Il suo “crimine”? Avere osato sfidare il sistema, diventando una candidata troppo scomoda per l’oligarchia che guida l’Europa da Bruxelles.
In Romania, dopo la vittoria a sorpresa di Călin Georgescu – subito neutralizzato con l’accusa di presunte interferenze russe – oggi tocca a George Simion raccogliere il testimone e guidare la rivolta democratica del popolo romeno. Un leader giovane, nato dal basso, che ha messo al centro della sua campagna i temi che l’élite rifugge come la peste: identità, sovranità, lavoro.
E lo ha fatto con il coraggio di chi sa di parlare a nome di una nazione intera. Il fatto che si definisca ideologicamente vicino al movimento MAGA non è casuale: è la stessa battaglia, la stessa faglia, lo stesso scontro tra popolo e potere.
Nel Regno Unito, invece, il governo laburista di Keir Starmer ha superato ogni limite: centinaia di arresti per reati d’opinione, per post pubblicati sui social. Una follia liberticida che avrebbe fatto impallidire anche Orwell. Eppure, neanche questa repressione è bastata a fermare l’avanzata del Reform Party di Nigel Farage, che ha conquistato vittorie simboliche ma potentissime nelle recenti elezioni amministrative, candidandosi come vera alternativa a un sistema politico sempre più autoreferenziale, sempre più distante dalla vita reale della gente.
Cosa hanno in comune questi episodi? Una verità semplice: l’establishment europeo ha paura. Ha paura di perdere il controllo, ha paura che i cittadini smettano di credere alle sue bugie, ha paura che l’onda lunga della ribellione democratica travolga le sue roccaforti costruite sul consenso manipolato. E allora reprime. Censura. Esclude. Squalifica. Annulla elezioni. Arresta. Etichetta chi dissente come “fascista”, “estremista”, “pericoloso”, nel tentativo disperato di fermare un cambiamento che appare sempre più inevitabile. Ma non funziona. Anzi, ogni abuso di potere alimenta la rabbia popolare, rafforza l’opposizione, rende ancora più visibile l’ipocrisia di chi predica democrazia mentre pratica la censura.
Oggi l’Europa è a un bivio. Può scegliere di tornare ad ascoltare i popoli, di dare voce a chi da anni chiede risposte vere su immigrazione, lavoro, sicurezza, identità. Oppure può continuare ad arroccarsi in una difesa isterica del sistema, spingendo milioni di cittadini verso l’unica via rimasta: la ribellione democratica.
Farage, Simion, Weidel non sono il problema: sono la risposta a un problema che l’establishment si rifiuta di riconoscere. La partita è aperta. Ma se la storia ha un insegnamento da offrire, è che i popoli non si lasciano calpestare per sempre. E che prima o poi, anche il più arrogante dei poteri deve fare i conti con chi ha dimenticato troppo a lungo: il popolo.