Lunedì scorso, il giudice della Corte Suprema brasiliana Alexandre de Moraes ha ordinato gli arresti domiciliari per l’ex presidente Jair Bolsonaro, accusato di aver violato le misure cautelari imposte nel contesto delle indagini sulla presunta “cospirazione” per sovvertire l’esito delle elezioni del 2022. La decisione arriva il giorno dopo le imponenti manifestazioni popolari in favore di Bolsonaro in tutto il Paese, un segnale chiaro del forte sostegno popolare che l’ex presidente continua a riscuotere.
Secondo de Moraes, Bolsonaro avrebbe “intenzionalmente” mostrato il dispositivo di monitoraggio elettronico durante un discorso trasmesso online e avrebbe incitato i suoi sostenitori a manifestare nella celebre spiaggia di Copacabana, a Rio de Janeiro. Per il giudice, si sarebbe trattato di “un tentativo di coazione verso il Supremo Tribunale Federale”.
Tuttavia, secondo molti osservatori indipendenti, questa misura solleva serie preoccupazioni sullo stato della democrazia brasiliana. A fronte di accuse ancora in fase preliminare, senza prove definitive né sentenze, l’opposizione parla apertamente di una persecuzione politica.
Eduardo Bolsonaro: “Il Brasile non è più una democrazia”
Parole forti anche da parte di Eduardo Bolsonaro, figlio dell’ex presidente, deputato e attualmente esiliato negli Stati Uniti, che in un messaggio pubblico ha affermato:
“Mio padre, Jair Bolsonaro, è stato arrestato oggi per aver sostenuto, dalla propria casa, il popolo brasiliano che è sceso in piazza contro gli abusi del giudice Alexandre de Moraes. È una prigione senza reato, senza prove, senza processo. Un chiaro abuso di potere per silenziare il leader dell’opposizione”.
Eduardo ha inoltre sottolineato come la diffusione di semplici fotografie familiari sia stata utilizzata come pretesto per giustificare l’azione del giudice. E ha lanciato un appello alla comunità internazionale:
“Il Brasile non è più una democrazia. Il mondo deve prenderne atto”.
Una linea sempre più dura contro l’opposizione
Negli ultimi mesi, la strategia della Corte Suprema brasiliana, in particolare del giudice de Moraes, è stata fortemente contestata da settori conservatori, che la considerano una violazione della separazione dei poteri e della libertà d’espressione.
Non è la prima volta che Bolsonaro viene colpito da misure giudiziarie restrittive. Oltre al divieto di candidarsi fino al 2030, era già stato obbligato all’uso di una cavigliera elettronica e al divieto di commentare il proprio processo. La semplice partecipazione a interviste è diventata pericolosa, al punto da poter essere interpretata come violazione delle restrizioni.
Il Brasile, con le sue sfide e le sue contraddizioni, si trova ora davanti a un bivio. La crescente repressione giudiziaria rischia di alimentare tensioni sociali, polarizzazione politica e sfiducia nelle istituzioni.
Jair Bolsonaro, amato da milioni di brasiliani, continua a rappresentare per molti l’unica vera opposizione a un sistema che, sempre più spesso, sembra temere il confronto democratico.
Verrebbe da chiedersi: sarebbe possibile qualcosa del genere in Italia o in Europa? Un giudice ideologicamente orientato a sinistra potrebbe decidere di mettere agli arresti domiciliari un leader conservatore ancora senza condanna definitiva? Sarebbe accettabile che la magistratura zittisse l’opposizione solo per le sue parole, per i suoi post o per un’intervista? Se ciò accadesse nei nostri Paesi, probabilmente si griderebbe allo scandalo. Eppure, in Brasile, sembra essere diventata la nuova normalità.