Libertà di parola in ostaggio: Farage porta il caso britannico al cuore del Congresso americano

Davanti alla Commissione Giustizia della Camera Usa, il leader di Reform UK denuncia la “deriva autoritaria” di Londra e paragona la Gran Bretagna alla Corea del Nord. Sotto accusa l’Online Safety Act e gli arresti per “reati d’opinione”. Starmer replica: “Atto anti-britannico”

Quando Nigel Farage ha giurato davanti ai congressisti americani, il silenzio di Capitol Hill si è caricato di un paradosso: non un dissidente esule, ma un leader politico britannico chiamato a denunciare il proprio Paese per violazioni della libertà di parola. “A che punto siamo diventati la Corea del Nord?”, ha chiesto Farage, trasformando un’audizione tecnica in un atto d’accusa politico.

La cornice non era casuale: la Commissione Giustizia della Camera Usa, presieduta dal repubblicano Jim Jordan, aveva convocato un’audizione su come le normative europee, dal Digital Services Act dell’UE all’Online Safety Act britannico, possano minacciare la libertà di espressione degli americani. È qui che Farage ha trovato la ribalta internazionale, trasformando il dibattito su una legge domestica in un caso di libertà globale.

I casi Linehan e Connolly: simboli di un Paese in bilico

Per spiegare la sua tesi, Farage ha portato due esempi concreti. Il primo riguarda Graham Linehan, sceneggiatore irlandese, arrestato a Heathrow per alcuni post su X ritenuti incitamento alla violenza. “Non è nemmeno cittadino britannico – ha osservato Farage – eppure è stato fermato all’aeroporto. Potrebbe accadere a qualsiasi americano che abbia scritto online cose non gradite a Londra”.

Il secondo caso è quello di Lucy Connolly, moglie di un consigliere conservatore, condannata a 31 mesi per un tweet razzista dopo gli omicidi di Southport. Farage lo ha definito un “post intemperante, rimosso dopo tre ore e mezza”, ma trasformato in un processo penale con conseguente incarcerazione.

Questi due episodi, agli occhi del leader di Reform UK, sono la prova che il Regno Unito ha abbandonato la sua tradizione di common law e libertà civili, sostituendola con un regime di censura mascherato da tutela della sicurezza online.

Il premier Keir Starmer non ha fatto attendere la replica. Accusando Farage di aver “parlato male del Paese a Washington”, ha bollato la sua trasferta come “un atto anti-britannico, una disgrazia”. L’opposizione laburista ha scelto di giocare sul terreno del patriottismo, descrivendo il leader di Reform come un politico pronto a danneggiare la reputazione e gli interessi nazionali pur di ottenere visibilità.

Farage ha respinto al mittente l’accusa di voler spingere Washington verso sanzioni contro Londra. Ha precisato di chiedere non punizioni ma “diplomazia e commercio”, ossia un segnale forte dagli Stati Uniti per avvertire il Regno Unito che la strada intrapresa minaccia le relazioni bilaterali.

Qui si coglie il nodo politico: per Starmer la regolazione digitale è difesa dei minori e ordine pubblico; per Farage è la prova di uno Stato che sta diventando un “censore globale” con conseguenze economiche e diplomatiche.

Il campo americano: repubblicani con Farage, democratici contro

Se a Londra Farage è stato accusato di disfattismo, a Washington ha trovato un terreno fertile fra i repubblicani. Jim Jordan lo ha invitato a testimoniare per dimostrare che l’Europa sta costruendo un modello di censura incompatibile con il Primo Emendamento americano.

Diverso l’atteggiamento dei democratici, che hanno colto l’occasione per attaccare non solo Farage ma anche il suo alleato Donald Trump. Il deputato Jamie Raskin lo ha definito “un impostore della libertà di parola, amante di Putin e zerbino di Trump”, aggiungendo che, se davvero credesse alla causa della libertà, avrebbe dovuto difenderla a Westminster invece di volare a Capitol Hill.

Questa polarizzazione evidenzia come la vicenda britannica sia diventata un pretesto per una battaglia tutta americana: da un lato il Partito Repubblicano, deciso a difendere la Silicon Valley da normative intrusive; dall’altro i democratici, intenzionati a sottolineare la contraddizione tra la retorica di Farage e le politiche restrittive di Trump verso i media.

Il contesto rende ancora più delicata la questione. Secondo fonti giornalistiche, l’Amministrazione Trump starebbe valutando misure contro funzionari europei ritenuti responsabili di censura ai danni di cittadini americani. In questo scenario, le parole di Farage assumono un valore strategico: rafforzano l’argomento repubblicano e offrono al Presidente un alleato britannico disposto a confermare la narrativa di un’Europa autoritaria.

Non a caso, durante la sua trasferta, Farage è stato ricevuto nello Studio Ovale: la foto con Trump dietro la Resolute Desk ha fatto il giro dei media, suggellando un legame politico che va ben oltre la solidarietà personale.

L’Online Safety Act come linea di faglia

Il cuore del dibattito resta l’Online Safety Act. Nato con l’intento di proteggere i minori da pornografia, istigazione al suicidio e contenuti illegali, è diventato – secondo i critici – uno strumento che conferisce all’autorità di regolazione Ofcom poteri “straordinari e arbitrari” sulla gestione dei contenuti digitali.

Per il governo, la legge è un passo avanti nella protezione dei più vulnerabili. Per Farage, è “una strada per l’inferno lastricata di buone intenzioni”, capace di minacciare non solo la libertà dei cittadini britannici ma anche quella degli utenti americani, poiché impone agli intermediari online regole extraterritoriali che travalicano i confini nazionali.

L’attacco di Farage non è solo giuridico. È anche economico. Davanti ai congressisti ha avvertito che la legge britannica “danneggerà il commercio fra i nostri Paesi” e avrà un “effetto domino in tutto l’Occidente”. In altre parole, se Londra non tornerà indietro, rischia di trovarsi in rotta di collisione non solo con i principi liberali ma anche con gli interessi del suo principale alleato.

Questa dimensione transatlantica è ciò che rende la vicenda rilevante. La regolazione digitale, un tempo tema tecnico e interno, diventa ora strumento di competizione geopolitica fra Regno Unito, Unione Europea e Stati Uniti.

L’episodio conferma la doppia natura di Nigel Farage. In patria, resta l’outsider capace di polarizzare l’opinione pubblica e di sfidare il premier sul terreno del patriottismo. All’estero, diventa un attore transnazionale, pronto a offrire sponda a Trump e ai repubblicani per rafforzare la narrativa anti-regolatoria.

La sua strategia è chiara: trasformare ogni battaglia interna in un tema globale, ogni legge nazionale in un caso di libertà universale. È la stessa logica che lo aveva portato al centro del dibattito sulla Brexit, ora traslata sul terreno digitale.

Un banco di prova per l’Occidente

La vicenda Farage-Starmer non è solo una polemica fra due leader britannici. È un banco di prova per l’intero Occidente. La domanda sottesa è se le democrazie liberali, di fronte alle sfide poste dal digitale, sceglieranno la via della regolazione protettiva o quella della libertà assoluta.

Il rischio, denunciato da Farage, è che nel tentativo di difendere i più deboli si finisca per costruire un sistema repressivo. La replica di Starmer è che senza regole si lasciano i cittadini esposti a minacce letali. In mezzo, gli Stati Uniti, che osservano il conflitto e decidono se trasformarlo in una nuova linea di faglia della contesa transatlantica.

Alla fine, ciò che emerge da Capitol Hill è la consapevolezza che la libertà di parola è tornata a essere terreno di scontro geopolitico. E il Regno Unito, patria del Magna Carta e della “mother of parliaments”, si trova paradossalmente sotto processo proprio nel luogo che del Primo Emendamento ha fatto la propria bandiera.

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Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

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