Il 20 marzo scorso, dopo la chiamata alla preghiera del venerdì, l’imam della Moschea Bianca di Gaza Jamil Al-Mutawa pronuncia la sua Khutba – l’omelia – e arringando i fedeli con movenze teatrali afferma che il coronavirus è un “soldato di Allah”, che uccide gli infedeli occidentali risparmiando palestinesi e musulmani.
Straparla, inneggia alla misericordia di Allah, che ha deciso di preservare i fedeli musulmani e di distruggere chiunque si schieri contro la Moschea di Al- Aqsa. Poi delira, fa la conta delle vittime e ci dedica un cameo d’eccezione elencando prima l’Italia con i suoi oltre 450 morti giornalieri e via il resto del mondo: Cina, Stati Uniti e un passaggio mefistofelico sulle strade vuote in Israele. Là dove non sono riusciti gli attentati riesce il coronavirus. Agita poi un telefonino (a spanne di demoniaca produzione occidentale), sul quale dice di aver ricevuto messaggi di miracolose e totali guarigioni dei pochi palestinesi contagiati. Tutto nel nome di Allah, onnipotente e misericordioso.
Oggi sono purtroppo stati confermati i primi due casi di covid-19 nella striscia di Gaza ed in medioriente il contagio dilaga in maniera preoccupante, mentre addirittura l’autorità palestinese, conscia dell’inadeguatezza delle proprie risorse, sta chiedendo ad Israele di aprire i varchi per far passare medici e strutture di supporto nel caso di ingravescenza della epidemia. Il veleno che l’imam ha riversato dal pulpito non servirà ad arginare il percorso del virus, che non è una piaga divina, perché quel Dio, evidentemente sconosciuto al predicatore, non dispensa morte e distruzione, nè si cura dei biechi scopi di indottrinamento a fini imperialistici. La strategia terroristica di cui si fa messaggero l’imam di Gaza, dunque, dovrà fare i conti con la dura realtà del contagio universale, senza alcuna possibilità di appaltare lo sterminio dell’Occidente al Covid 19, come fosse una sorta di upgade di intifada per conto terzi.