Como – L’enorme impatto mediatico di pandemia e guerra in Ucraina ha oscurato il fenomeno del radicalismo islamico, che negli ultimi due anni ha così potuto covare sotto la cenere e sfruttare le mutazioni del contesto geopolitico per fare proselitismo, soprattutto tra le nuove generazioni.
Dopo i tragici attentati dell’11 settembre la città di Como è stata suo malgrado protagonista di vicende legate all’Islam radicale, oltre che crocevia logistico di diverse cellule terroristiche che hanno poi agito nel resto d’Europa.
Ragioni, queste, che hanno spinto il Coordinamento provinciale e il Dipartimento regionale sicurezza, legalità e immigrazione di Fratelli d’Italia a riaccendere i riflettori sul tema, invitando a Como Lorenzo Vidino, esperto di islamismo in Europa e Nord America che, nel corso degli ultimi 20 anni, ha concentrato la sua ricerca sulle dinamiche di mobilitazione delle reti jihadiste in Occidente, le politiche governative di contrasto alla radicalizzazione e le attività delle organizzazioni in Occidente che si ispirano ai Fratelli musulmani.
Prima dell’inizio dei lavori, la sala gremita dello Yacht Club di Como si è raccolta in un minuto di silenzio in memoria di Silvio Berlusconi, dopodiché a prendere la parola è stato il coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia, Stefano Molinari, che si è voluto soffermare «sull’impatto che il fondamentalismo islamico ha sulle nostre vite di tutti i giorni, a prescindere dagli attentati: basti pensare ai bambini che, vivendo in famiglie che si rifiutano di parlare italiano, vengono penalizzati nel loro percorso scolastico oltre a rallentare quello dei loro compagni. Inoltre», ha aggiunto Molinari, «intendiamo ricordare che il territorio di Como è stato spesso crocevia di cellule terroristiche, motivo per cui è necessario non abbassare la guardia, oltre che in termini di pubblica sicurezza, anche dal punto di vista politico e amministrativo.»
Dopo Molinari è stato proiettato il video di un intervento che Giorgia Meloni tenne in occasione di un convegno sul post-11 settembre organizzato dall’Unione interparlamentare, in cui l’attuale presidente del Consiglio ha affermato che «esiste il rischio concreto che l’Afghanistan torni un santuario del terrorismo. Ora si impongono scelte coraggiose: equilibrare l’alleanza atlantica facendo assumere all’Europa oneri e onori a chi deve avere una propria politica estera, da pari a pari con gli Usa.»
L’intervento di Alessandro Nardone è partito proprio dai tragici attentati dell’11 settembre del 2001 che egli stesso ha descritto nel primo capito del romanzo Il Predestinato, che per questo motivo nel 2016 è stato inserito negli archivi del Memorial 9/11 di New York. «L’11 settembre è un vero e proprio punto di non ritorno, uno spartiacque che ha risvegliato l’Occidente dal torpore che per anni ci ha convinti di essere inattaccabili.» A quel tempo Nardone era presidente di Azione Giovani e consigliere comunale di Alleanza Nazionale proprio insieme a Molinari, insieme al quale condusse diverse battaglie politiche «come quella grazie alla quale ottenemmo la chiusura di una moschea abusiva», aggiungendo che nel quadro odierno «le sacche di fondamentalismo che covano sotto la cenere si contrastano soprattutto riscoprendo i valori propri della Civiltà Occidentale, ovvero la battaglia contro quel relativismo etico di cui Papa Ratzinger parlò nell’enciclica di Ratisbona e che oggi si manifesta nelle folli teorie dell’ideologia woke.»
Molto intenso e ricco di spunti di riflessione l’intervento di Lorenzo Vidino, secondo cui l’Occidente «vive una fase storica che ricorda quella di una quindicina di anni fa, in cui si pensava che il fenomeno jihadista fosse in una fase calante se non morente perché era stato ucciso Osama bin Laden e Al Qaida non riusciva a mettere più a segno attentati importanti, inoltre, nel 2011, scoppiarono le primavere arabe, che dettero l’impressione di una parabola discendente del fenomeno jihadista. La sensazione che si aveva allora è analoga a quella attuale, in cui si è registrata la sconfitta territoriale dell’ISIS e non si vedono più attentati eclatanti in Occidente. In questa situazione il mondo politico e dell’informazione tendono a considerare il jihadismo in crisi. Peccato che, leggendo le relazioni dei servizi segreti di tutto il mondo, si evinca che la situazione sia ben diversa. Un contesto di sostanziale stand-by degli attentanti che si sta caratterizzando per la presenza di un islamismo radicale che, pur agendo nel perimetro della legalità, in prospettiva viene considerato più pericoloso per la sua capacità di fare proselitismo.» Infine, il professor Vidino ha spiegato alcune delle ragioni per le quali l’Italia, pur essendo stata crocevia di molte cellule jihadiste, non sia ma stata colpita da attentati grazie «alla grande efficienza dell’Antiterrorismo e alle norme che facilitano l’espulsione dei soggetti pericolosi privi di cittadinanza cosa che, per evidenti motivi, non è possibile attuare in paesi come la Francia.»
Con buona pace di chi si ostina a parlare di Ius Soli, aggiungiamo noi.