Lo statuto di Hamas smaschera la sinistra: l’obiettivo è distruggere l’Occidente

C’è un documento che da solo basterebbe a chiudere ogni discussione sulla natura di Hamas: il suo statuto del 1988. Non un semplice manifesto politico, ma l’equivalente della loro Costituzione, il fondamento ideologico e programmatico di un movimento che non ha mai nascosto la propria missione: distruggere Israele e con esso la civiltà occidentale.

Leggere quelle pagine significa entrare nel cuore di un’ideologia che non ha nulla a che fare con la resistenza, con la libertà dei popoli, con la giustizia sociale. È la codificazione del fanatismo religioso come metodo di governo, è la teorizzazione della violenza come strumento politico, è l’odio innalzato a principio supremo.

Bastano pochi passaggi per comprendere l’abisso. «Il Giorno del Giudizio non arriverà finché i musulmani non combatteranno e uccideranno gli ebrei», recita l’articolo 7. «Non vi è soluzione alla questione palestinese se non attraverso il Jihad. Le iniziative, le proposte e le conferenze internazionali sono una perdita di tempo e un gioco da bambini», stabilisce l’articolo 13.

«Israele esisterà finché l’Islam non lo annullerà, come ha annullato altri che lo hanno preceduto», aggiunge l’articolo 28. Non c’è spazio per il dialogo, non c’è apertura alla pace, non c’è riconoscimento dell’altro. C’è solo guerra, sterminio e annientamento. Per Hamas il compromesso è tradimento, la convivenza è eresia, la pace è illusione.

Per un occidentale, per chi è cresciuto dentro una tradizione che affonda le radici nella filosofia greca, nel diritto romano, nel cristianesimo e nell’illuminismo, tutto questo è inconcepibile. La nostra civiltà si fonda sul limite al potere, sul riconoscimento dei diritti fondamentali, sulla pluralità come valore. Hamas rappresenta l’esatto contrario: un progetto totalitario che usa la religione come strumento politico, che considera l’eliminazione dell’avversario un dovere sacro, che vede nella differenza un nemico da cancellare.

Eppure, in Europa e perfino in Italia, non mancano intellettuali, movimenti e partiti che difendono Hamas o che comunque lo giustificano. Non si tratta di ingenuità, ma di coerenza ideologica. La sinistra, nelle sue varie declinazioni, condivide con Hamas l’obiettivo ultimo: indebolire, snaturare, distruggere l’Occidente. Certo, con metodi diversi. Hamas lo fa con i razzi e i kalashnikov, la sinistra con il politicamente corretto, l’ideologia woke, l’immigrazionismo e la censura. Ma il risultato è lo stesso: annullare le identità, demolire le radici, sostituire il tessuto culturale con una massa informe e manipolabile.

Non è un caso se chi oggi si schiera a favore di Hamas è lo stesso che predica i confini aperti e l’accoglienza indiscriminata. L’immigrazionismo non è un fenomeno spontaneo, è una strategia politica. Allagare l’Europa di flussi incontrollati significa cambiare i connotati demografici, culturali e sociali delle nostre città, creare tensioni permanenti e spaccare le comunità dall’interno. È la stessa logica che emerge nello statuto di Hamas, che definisce la Palestina un waqf islamico “consacrato fino al Giorno del Giudizio”, negando la legittimità di ogni sovranità diversa dall’islamismo.

È il rifiuto stesso del concetto di nazione, che non a caso la sinistra condivide e rilancia nel proprio lessico quotidiano. Perché una nazione senza identità è una nazione senza difese, pronta a essere colonizzata dall’esterno e corrotta dall’interno.

Israele, in questo quadro, non è soltanto un Paese in guerra: è la linea del fronte. È la trincea avanzata della civiltà occidentale nel cuore del Medio Oriente. Non perché sia privo di difetti – nessuno lo è – ma perché rappresenta un modello democratico, libero, pluralista, esattamente ciò che Hamas e i suoi sponsor internazionali vogliono abbattere. Chi in Occidente osteggia Israele e difende Hamas, consapevolmente o meno, sta lavorando per il nemico. E non parlo solo di un nemico geopolitico: parlo di un nemico della nostra stessa Civiltà.

I fatti degli ultimi decenni lo dimostrano con chiarezza. L’11 settembre non è stato un episodio isolato, ma la manifestazione più clamorosa di un odio che aveva già colpito e che avrebbe continuato a colpire l’Occidente: Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles. Tutti attacchi firmati dalla stessa ideologia jihadista che Hamas codifica nello statuto. Parallelamente, l’Europa ha aperto le porte a un’immigrazione incontrollata che ha portato con sé non solo persone in cerca di futuro, ma anche radicalizzazione, ghetti, degrado urbano, insicurezza crescente.

Non è un caso se, insieme alle periferie abbandonate, sono esplosi i fenomeni di violenza sessuale e criminalità legati a clandestini. È il fallimento del multiculturalismo, la prova che quando rinunci a difendere le tue radici finisci per perderti.

Il filo che lega tutto questo è chiaro: la sinistra difende Hamas come difende l’immigrazionismo, perché entrambe le cose contribuiscono al medesimo risultato, la dissoluzione dell’Occidente. Hamas colpisce dall’esterno, l’immigrazionismo mina dall’interno. L’una e l’altro sono strumenti diversi di un’unica battaglia culturale, politica e identitaria.

Ecco perché non possiamo permetterci ambiguità. Difendere Israele non significa schierarsi a favore di un governo o di una coalizione, ma difendere un presidio della nostra civiltà. Significa affermare che il diritto di esistere non si discute, che la libertà vale più dell’odio, che la nostra identità non è negoziabile. Significa respingere con fermezza sia il fanatismo jihadista che l’ideologia immigrazionista della sinistra, due facce della stessa medaglia che ha come obiettivo finale la distruzione dell’Occidente.

Chi oggi in Europa giustifica Hamas non sta difendendo i palestinesi, che meriterebbero pace e futuro, ma sta spalleggiando il terrorismo e lavorando per cancellare la nostra civiltà. È il tempo della chiarezza: o si sta con l’Occidente, con Israele e con i valori che ci hanno reso liberi, o si sta con chi vuole annientarli. Non ci sono vie di mezzo.

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Alessandro Nardone
Alessandro Nardone
Consulente in comunicazione strategica, esperto di branding politico e posizionamento internazionale, è autore di 12 libri. Inviato in tutte le campagne elettorali USA dopo aver fatto il giro del mondo come Alex Anderson, il candidato fake alle presidenziali americane del 2016.

1 COMMENT

  1. Complimenti, davvero un articolo che andrebbe letto e meditato specialmente nelle nostre scuole tra i nostri giovani, anche da chi è in disaccordo con la reazione di Israele.

    C’è una piccola considerazione in merito che vorrei esprimere, e che mi rattrista (e preoccupa) non poco: ero piccolo, sentivo al telegiornale parole tipo “intifada”, vedevo piu o meno le stesse immagini… E a noi italiani “gente comune”, non ce ne fregava niente, a nessuno. Di Gaza, delle pietre, e di questi che, sicuramente povera gente, è dalla notte dei tempi che si fanno la guerra.

    Sicuramente è povera gente, sfortunata, come quella di tanti altri conflitti e piaghe che haime ci sono in questo mondo. E’ indubbio.

    Ma noi qui, che dovremmo almeno tacere per il solo fatto che abbiamo da mangiare… invece no, adesso siamo noi diventati tutti palestinesi, paladini di una verità superficiale ed approssimativa: bandiere palestinesi che sbucano ovunque, supermercati che boicottano i prodotti alimentari che hanno solo un qualche legame con Israele, banchetti pro-pal come funghi che danno del fascista a chi non vuole firmare…

    La vedo dura… perchè di fatto ci stiamo comportando come degli “utili idioti”…. Che ipocrisia.

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