Lo strano modo di Putin di volere la pace

La fine della guerra in Ucraina è un fatto auspicabile per tutti perché la cessazione delle ostilità nella Repubblica ex sovietica interromperebbe anzitutto la scia di morte che affligge i civili ucraini e gli eserciti di tutte e due le parti dal 2022. Inoltre, essa sarebbe benefica per l’Europa, l’Occidente e il resto del mondo, che hanno bisogno di stabilità geopolitica ed anche economico-finanziaria. Tutti convengono che sia arrivata l’ora di chiudere il conflitto russo-ucraino e le due sponde dell’Atlantico, magari con toni e modi differenti, stanno comunque lavorando entrambe per fare sedere Russia e Ucraina attorno ad un medesimo tavolo negoziale. La stessa Federazione russa afferma di essere pronta per la pace e proprio poche ore fa Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha sostenuto che il suo Paese sia ora ben disposto a concludere un accordo per la risoluzione del conflitto ucraino, anche se rimangono ancora dei punti da chiarire sui quali però, assicura Lavrov, la Russia sta già lavorando. Tuttavia, le parole un poco incoraggianti che iniziano ad arrivare da Mosca non sono per nulla supportate dai fatti e dalle azioni quotidiane commesse dalla Federazione russa in Ucraina. Da un lato, Vladimir Putin e Lavrov incominciano a parlare di negoziati e possibile pace, e dall’altro continuano a bombardare l’Ucraina.

La tregua pasquale annunciata da Putin aveva fatto un po’ sperare, ma durante la brevissima pausa gli attacchi dell’esercito russo non si sono affatto fermati. Poche notti fa Kiev e Kharkiv, la seconda città più grande del Paese, sono state prese di mira da una grande quantità di missili e droni russi, in uno degli attacchi più letali dall’inizio di quest’anno, e nella sola capitale ucraina sono morte 12 persone, civili e non militari. Per un lungo periodo, dopo il sostanziale fallimento dell’invasione integrale, la Russia si è limitata a colpire soprattutto nelle aree ucraine già caratterizzate dalla sua totale o parziale occupazione, Crimea e Donbass, ed ora torna invece ad aggredire anche Kiev, come agli inizi della guerra.

Il Cremlino parla di pace e allo stesso tempo ricade nuovamente in un conflitto più vasto. Questa drammatica contraddizione non è sfuggita a Donald Trump, il quale ha condannato i raid notturni su Kiev e ha intimato a Putin di fermarsi. Del resto, si può dare avvio a negoziati solo quando le armi vengono messe da parte perché trattare sotto le bombe e con un interlocutore che dice una cosa e poi fa l’esatto contrario, pare francamente impossibile. La realtà, nella quale si sono aggiunti gli ultimi raid russi scagliati sulla capitale ucraina, impone di destinare le maggiori pressioni più su Vladimir Putin che sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Per giungere ad una pace vera bisogna passare attraverso delle rinunce di entrambe le parti, e su questo vi è la consapevolezza di tutti o quasi, considerato l’atteggiamento russo.

Sia la Russia che l’Ucraina devono cedere giocoforza in merito ad alcuni punti perché se si vuole imporre la fine della guerra solo con la ritirata umiliante di uno dei due protagonisti, il pensiero va senz’altro a Kiev, non si avrà alcuna pace duratura e salutare anche per la stabilità mondiale, che è poi l’obiettivo a cui occorre davvero puntare. Certo, la stanchezza per questo conflitto è diffusa ed è pure possibile, con la resa fattuale dell’Ucraina, far tacere le armi per qualche anno, ma non si pensi di avere in mano una soluzione definitiva perché il contendente umiliato e quindi arrabbiato, anche con un eventuale ricambio ai vertici politici, (per capirci, l’Ucraina con un futuro presidente diverso da Zelensky), può starsene tranquillo per un po’, scottato e destabilizzato, però, presto o tardi, vorrà vendicare i torti subìti, rischiando di abbandonare la sua precedente condizione di aggredito per il ruolo di aggressore e guastatore. E’ pertanto saggio stabilire fin d’ora cosa è meglio per il futuro dell’Ucraina, evitando di accontentare Putin su tutto. Qualsiasi negoziato parte in salita se si chiede a Kiev di rinunciare a tutti i territori, Crimea e Donbass, ora occupati dalle Forze Armate russe e nel contempo di abbandonare per sempre l’ipotesi di adesione alla NATO. Se gli ucraini devono fare a meno della fetta considerata russofona della loro Nazione, bisogna però garantire alla Repubblica ex sovietica un’adeguata protezione militare che la tenga al riparo, oggi e in futuro, da nuove offensive della Federazione russa. Viceversa, se i russi abbandonano almeno gran parte delle loro conquiste territoriali, Kiev può promettere di rimanere a distanza di sicurezza dall’Alleanza Atlantica, che tanto disturba il sonno di Vladimir Putin.

L’ombrello difensivo da predisporre per l’Ucraina può anche non passare per un’adesione piena alla NATO, ma può concretizzarsi tramite il dispiegamento di peacekeeper occidentali, dei cosiddetti volenterosi, cioè, dando a Kiev quelle vitali garanzie di sicurezza delle quali si è tanto parlato finora senza tuttavia approfondirne la portata. Oppure, come ha suggerito tempo fa Giorgia Meloni, con l’applicazione dell’articolo 5 della NATO, quello della mutua difesa fra i membri dell’Alleanza, ad un Paese esterno alla coalizione occidentale come l’Ucraina. Di certo, gli ucraini non possono abdicare su tutta la linea e perdere sia porzioni di sovranità che tutele militari. E neppure, possono restare con la sola consolazione di non essere stati invasi, almeno per ora, in modo completo. 

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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