Lodi internazionali: da Le Monde un plauso al lavoro strategico e all’impegno di Giorgia Meloni

Relazione Italia-Africa, Le Monde: "La Meloni ha tracciato la linea generale"

Articolo apparso su Le Monde, il 27 gennaio 2024 a firma di Allan Kaval

Per Giorgia Meloni, l’Africa è più di una priorità. È una vocazione. Considerato nel suo insieme, con le sue risorse naturali da sviluppare e i suoi flussi migratori da arginare, il continente è al centro di tutti i discorsi di politica estera del Presidente del Consiglio italiano. Fin dai primi giorni del suo mandato, la Meloni ha chiesto l’attuazione di un “piano per l’Africa” in risposta alle crisi del continente. I contenuti del piano, rimasti a lungo misteriosi, saranno finalmente svelati nel corso del vertice Italia-Africa che si terrà a Roma domenica 28 e lunedì 29 gennaio.

Alla presenza di almeno dodici organizzazioni internazionali e di ventisei capi di Stato, capi di governo, ministri e altri alti funzionari, il capo del governo italiano potrà illustrare nel dettaglio la natura del “cambio di paradigma” che intende imprimere alle relazioni tra Europa e Africa, un impegno basato sulle parole d’ordine della “non predazione” e della “cooperazione alla pari”.

In quindici mesi di mandato, dai discorsi alle conferenze stampa, dal podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite al palco della festa annuale del suo partito, la Meloni ha tracciato la linea generale. Nella sua grande narrazione del progetto africano, la Presidente del Consiglio sviluppa il ragionamento secondo cui i massicci investimenti europei nell’economia di un continente finora sfruttato da potenze malvagie consentiranno, a lungo termine, di affrontare le cause profonde dell’immigrazione clandestina, che lei ha promesso ai suoi elettori di controllare.

A differenza della Francia, che è in ritirata sul continente, Roma, che ritiene intatta la sua immagine in loco, si compiace di sfuggire alle accuse di neocolonialismo e si pone quindi come facilitatore delle relazioni euro-africane. Per la leader italiana, sia la geografia che la politica predispongono la penisola italiana a diventare un ponte tra i due continenti, un’idea che si completa con l’aspirazione molto concreta di fare dell’Italia un hub tra le risorse energetiche africane e i mercati europei.

La signora Meloni definisce la sua visione africana “piano Mattei”, dal nome di Enrico Mattei (1906-1962), fondatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). Figura leggendaria dell’Italia del Novecento, Mattei è identificato tanto con lo sviluppo industriale del dopoguerra quanto con la virtuosa influenza internazionale che accompagnò l’emancipazione del Terzo Mondo grazie a contratti di cui beneficiarono i Paesi produttori di petrolio. È noto anche per il suo sostegno al Fronte di Liberazione Nazionale contro la Francia durante la guerra d’indipendenza algerina.

Per la signora Meloni, queste sfumature antimperialiste non devono sorprendere. In effetti, la sua famiglia politica ha una vena terzomondista, particolarmente forte nelle organizzazioni giovanili in cui si è formata quando ha compiuto un fondamentale viaggio umanitario nel Sahara occidentale. Nel 2019, mentre era ancora all’opposizione, si è anche distinta in una sequenza diventata virale brandendo una banconota da 10.000 franchi CFA (15 euro) su un televisore, denunciando una “moneta coloniale” accusata di impoverire l’Africa.

Il lontano successore di Mattei, Claudio Descalzi, ha sostenuto assiduamente i progetti africani della signora Meloni da quando è salita al potere. L’ENI è presente in sei dei sette Paesi del continente in cui ha effettuato visite ufficiali. Le capacità relazionali di Descalzi, che ha un pronunciato tropismo africano, lo hanno reso un attore chiave della nuova politica africana dell’Italia. Sotto Mario Draghi, il predecessore del leader italiano, ha coordinato lo spostamento verso sud delle forniture di gas all’Italia, che all’epoca dipendeva fortemente dalla Russia, subito dopo l’invasione dell’Ucraina.

“Non dare lezioni”


Da allora Algeri ha sostituito Mosca come primo fornitore di gas dell’Italia, con il 38% delle importazioni, mentre in Libia la filosofia del piano Mattei si è concretizzata nel gennaio 2023 con 8 miliardi di euro di investimenti da parte dell’ENI, in parte finalizzati a migliorare le forniture di gas al mercato interno. “L’Italia può e vuole giocare un ruolo importante (…) nell’aiutare i Paesi africani a crescere [economicamente] e ad arricchirsi”, aveva detto allora Meloni.

“Roma sta venendo alla ribalta dopo essere stata piuttosto timida in Africa, e il suo discorso sugli investimenti e sulla creazione di posti di lavoro è nuovo”, osserva Henri Okemba, ambasciatore a Roma del Congo-Brazzaville, un Paese in cui l’ENI è molto attiva e che sarà rappresentato a Roma dal suo presidente, Denis Sassou Nguesso, che la Meloni ha incontrato a Brazzaville in ottobre. “Gli italiani hanno capito che viviamo in tempi diversi e non danno lezioni. Questo è un vantaggio. Tempi diversi, costumi diversi”, sottolinea il diplomatico, che tuttavia attende di vedere con i propri occhi, visto che la parte italiana non ha condiviso gli elementi di base del piano Mattei con i suoi partner africani.

“È chiaro che l’ex colonizzatore francese è preso di mira dal discorso dell’Italia sull’Africa, ma gli africani non dovrebbero arbitrare una rivalità tra due Paesi europei”, afferma un altro diplomatico africano con sede a Roma, che vede nel piano Mattei anche “un tema rivolto all’opinione pubblica italiana, che si aspetta qualcosa di nuovo sulla questione migratoria”.

Dall’inizio del suo mandato, durante il quale avrà incontrato in totale venti capi di Stato e di governo africani, il discorso del presidente del Consiglio non è cambiato e si è affermata la sua aspirazione a svolgere un ruolo di primo piano in Europa sulle questioni africane. Giorgia Meloni ha promosso la conclusione, nel luglio 2023, di un patto con il presidente tunisino Kaïs Saïed, coinvolgendo il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il primo ministro olandese Mark Rutte.

Nello spirito del piano Mattei, l’accordo intendeva collegare la concessione di aiuti finanziari a una maggiore cooperazione nel controllo dei flussi migratori, con un’impennata degli arrivi sull’isola italiana di Lampedusa dalla regione di Sfax nel 2023. Sebbene il testo non abbia prodotto i risultati sperati, l’episodio tunisino ha avuto il merito di permettere alla signora Meloni di mostrarsi attiva e padrona della situazione, capace di mobilitare gli europei a favore del suo metodo e del suo discorso in Africa. Anche la signora von der Leyen parteciperà al vertice di Roma.

“Trovare una strategia globale”

“Il legame tra i progetti italiani nel continente africano e la dimensione europea è ancora da definire, perché Roma sta anche costruendo un successo italiano su un fallimento francese, in Tunisia come altrove, il che è indicativo di un approccio non necessariamente cooperativo”, osserva Maria Fantappie, direttrice del dipartimento Mediterraneo, Medio Oriente e Africa dell’Istituto affari internazionali, un influente think tank romano. All’inizio di gennaio, tuttavia, il Presidente del Consiglio ha parlato del piano Mattei come di un “modello (…) per gli altri Paesi europei [e] occidentali”, che dovrebbe iniziare con progetti pilota guidati da Roma e nei quali coinvolgere altri Paesi. “Ovviamente l’Italia non può fare questo lavoro da sola”, aveva detto all’epoca.

Sebbene il Presidente del Consiglio italiano si sia rifiutato di fornire dettagli sul contenuto del piano prima del vertice, il decreto che ne organizza la governance, approvato il 10 gennaio, dà qualche indicazione sulla varietà delle aree coperte, con il coinvolgimento di tutti i ministeri, dei rappresentanti delle regioni, delle università, delle società a partecipazione pubblica e industriale e di altri enti pubblici e privati. La Meloni ha inoltre dichiarato che il 70% del Fondo italiano per il clima, pari a 3 miliardi di euro, sarà destinato a progetti africani. La supervisione del piano, centralizzato a livello di Presidenza del Consiglio, è stata affidata anche all’ex ambasciatore italiano a Tunisi, Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico della Meloni.

L’Italia si è interrogata sui rapporti con l’Africa a partire dagli anni 2010 e dall’inizio delle crisi migratorie, quando ci siamo resi conto che la nostra frontiera era nel Sahel”, sottolinea Mario Giro, già viceministro degli Affari esteri e della cooperazione e responsabile delle relazioni internazionali della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione umanitaria e di mediazione cattolica con una forte presenza nel continente africano. Per la prima volta abbiamo un approccio che rimescola le carte in tavola e cerca di trovare una strategia globale per affrontare la questione migratoria. Possiamo sperare che questo abbia un effetto a catena e che faccia dell’Italia un partner del Sud globale. Inizialmente previsto per l’autunno, il vertice ha dovuto essere rinviato a causa del conflitto nella Striscia di Gaza, con Roma in bilico tra le sue ambizioni al di là del Mediterraneo e il suo allineamento con Washington e Tel Aviv.

Per Mamecor Ndiaye, ambasciatore del Senegal in Italia, il cui presidente, Macky Sall, è anch’egli atteso a Roma, “i concetti di non predazione e di cooperazione alla pari sono già requisiti fondamentali delle istituzioni e degli Stati africani. L’Africa ha una propria dinamica di sviluppo. Attendiamo con interesse la proposta italiana, ma essa dovrà innanzitutto collegarsi agli sforzi che stiamo già compiendo”.

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