Sebbene i fatti risalgano allo scorso anno, non solo l’Irlanda non dimentica, ma non riesce nemmeno a superare l’orrendo delitto che ha visto coinvolti tre adolescenti, tre ragazzini considerati normali, tranquilli, niente di più e niente di meno di quello che sono i nostri figli, dei giovani che tutti i giorni incontriamo in mille circostanze diverse. Eppure, dietro a quell’apparenza di tranquilla, quasi scontata normalità, ecco affiorare il male assoluto, la totale mancanza di empatia di esseri umani per un altro essere umano. La violenza, la crudeltà, la volontà di fare il più male possibile.
E’ la primavera dello scorso anno quando un ragazzino di 13 anni telefona a una sua amica, Ana Krielgel che di anni ne ha 14 e che come lui vive in un sobborgo di Dublino che si chiama Lucano. Il ragazzino appare eccitato quando racconta ad Ana che un suo amico ha una cotta per lei e che vorrebbe incontrarla. Nemmeno a farlo apposta, il ragazzino che avrebbe la cotta per Ana è proprio quello che piace a lei e che, almeno fino a quel momento, non sembrava darle molta attenzione. Perciò, Ana è felicissima per quella notizia che quasi non le pare vera.
La ragazzina indossa la sua felpa più carina, con un cappuccio che le incornicia il volto grazioso e fa risaltare il nasino all’insù, ed esce di casa dove ad attenderla c’è l’amico che le ha telefonato. Insieme i due si avviano attraverso un parco fino a una fattoria abbandonata dove “lo spasimante”, tredicenne anche lui, li sta aspettando. E li sta aspettando davvero, ma non per dichiarare il suo amore ad Ana, ma per ucciderla. L’appuntamento non è altro che una trappola ben organizzata. “Lo spasimante” si è preparato con cura per quel momento, assemblando quello che in seguito la polizia avrebbe chiamato il “kit del delitto”: maschera zombie, guanti neri, parastinchi, ginocchiere. Le sue armi sono arrangiate: un lungo bastone e un blocco di cemento.
Ciò che accade da qual momento in poi all’interno della fattoria abbandonata è quello che nella storia irlandese per la prima volta porta ad essere condannati per omicidio due quattordicenni. L’omicidio di Ana Krielgel ha riportato alla mente un altro atroce crimine, che avvenne a Liverpool nel 1993, quando due ragazzini di 10 anni rapirono e massacrarono James Bulger di due anni e mezzo.
“Ciò che ha scosso le nostre considerazioni fondamentali sull’infanzia, è che i colpevoli condannati per questo crimine sono i bambini stessi”, ha detto Chris McCusker, docente di psicologia clinica presso l’University College Cork. “Tutto ciò alimenta una mentalità da linciaggio, sostenuta dalla certezza del male che è in mezzo a noi”. Nascono poi molte considerazioni di ordine sociologico, spesso legate anche ai social-media.
Ana aveva pochi amici e si sentiva sola. Ha cercato di connettersi con i coetanei attraverso YouTube, Instagram, Facebook, Snapchat e altre piattaforme solo per finire vittima di bullismo – mirato a insinuazioni e minacce sessuali. Un commento sul suo canale YouTube esprimeva il desiderio di “farla giustiziare”. A renderla “diversa” per molti suoi coetanei era un insieme di cose. Primo, Ana era stata adottata in Russia, poi era piuttosto alta per la sua età e aveva scarsa memoria a breve termine, oltre a vista e udito ridotti a causa di un tumore che l’aveva colpita e che era stato rimosso con successo. Tutto ciò, invece di stimolare la vogli di aiutarla e proteggerla, la rendeva “una strana”, socialmente imbarazzante. I social-media che la ragazzina frequentava in cerca di aiuto, l’hanno invece affossata mentre ora, dopo la tragedia, tentano di vendicarla aizzando tutti contro gli assassini e le loro famiglie, affinché vengano duramente puniti. Non solo. Il giudice Paul McDremott aveva stabilito il divieto di identificazione dei due giovani assassini, proprio perché minori di 14 anni all’epoca del delitto. I due sono infatti sempre stati indicati come Boy A – il ragazzo che ha brutalizzato e assalito sessualmente Ana – e Boy B – il ragazzino che gliela aveva consegnata alla fattoria.
Ciononostante, i cosiddetti cyber-vigilantes, hanno bypassato la volontà del giudice e pubblicato le foto dei giovani assassini su Twitter e Facebook, compresivi di nomi e indirizzi, nonché insulti inenarrabili. L’avvocato di Boy B ha fatto sapere che la famiglia del ragazzino si è nascosta perché spaventata dalle minacce ricevute.