Macron: dopo la sberla di Brigitte, a Roma con il cappello in mano

Macron vola a Roma pochi giorni dopo il gesto virale di Brigitte. Ma ad attenderlo non c’è una resa dei conti: c’è Giorgia Meloni, oggi più forte di lui. L’Italia non chiede più permesso. La Francia ora bussa.

Il potere, spesso, non cade con un tonfo, ma con un gesto. Il 26 maggio 2025, appena sbarcati in Vietnam, Brigitte Macron ha afferrato il volto del marito Emmanuel con entrambe le mani. Un movimento brusco, quasi una smorfia domestica di fastidio, immortalato da decine di telecamere. Il video ha fatto il giro del mondo, diventando in poche ore più virale di qualunque comunicato dell’Eliseo.

È bastato quello per far vacillare l’immagine granitica del presidente francese. Quella che sembrava complicità coniugale si è trasformata, agli occhi di molti, in uno “schiaffo simbolico” – un gesto che ha il sapore amaro dell’autorità incrinata. Per la Francia, è stata la conferma che non bastano l’eleganza istituzionale e le formule repubblicane per nascondere le crepe di un consenso traballante.

Sette giorni dopo, Roma: quando il potere cambia sponda

Non sono passate nemmeno 72 ore da quello “schiaffo” che già Macron cerca un nuovo palcoscenico. Il 3 giugno, volerà a Roma per essere ricevuto da Giorgia Meloni. Non è solo una visita diplomatica: è una scena politica carica di sottotesti. Macron è in difficoltà sul fronte interno, isolato, minoritario in Parlamento, contestato in piazza. Meloni, al contrario, è in pieno controllo, forte di un mandato pieno, con la barra dritta sul piano europeo e un consenso che regge.

Ma il dettaglio più significativo è questo: è stato l’Eliseo a chiedere l’incontro. Un segnale plastico di un rapporto che si è ribaltato. Se fino a pochi anni fa era l’Italia a bussare a Parigi per ottenere legittimazione, oggi è la Francia che cerca il dialogo per non essere marginalizzata.

“Si è montata molta panna”: la carezza ironica di una leader solida

A chiarire subito il tono, è Giorgia Meloni stessa. Il 30 maggio, in una dichiarazione all’ANSA, dice:

«La Francia è una nazione amica. Su questa vicenda si è montata molta panna, come si dice a Roma. Ho letto tante cose esagerate. Ci sono anche in Francia persone che hanno visioni politiche diverse dalla nostra e sentono il bisogno di attaccarci. Non è un problema nostro, ma loro.»

Parole perfette, chirurgiche. Una carezza solo in apparenza: in realtà, una lezione di diplomazia assertiva. Meloni non solo ridimensiona le polemiche, ma lo fa con stile, relegando gli attacchi a un problema interno della Francia. Il messaggio implicito è forte: l’Italia è stabile, coerente, affidabile. Se altrove si fatica a reggere le pressioni interne, non è Roma a doverne pagare il prezzo.

Fine dell’egemonia francese: l’Italia al centro del gioco europeo

Il gesto di Brigitte, l’invito a Roma, le dichiarazioni di Meloni: tutto converge in un’unica direzione. L’egemonia morale e politica della Francia, che per anni ha guidato l’Europa con la Germania, sta declinando. E l’Italia – dopo decenni in cui è stata percepita come una cenerentola mediterranea – ora detta l’agenda.

Non è solo simbolismo. L’Italia è cruciale nei dossier chiave: energia, migrazioni, sicurezza, Africa. E se Parigi resta impigliata nelle sue ex colonie e nelle sue convulsioni interne, Roma si propone come l’interlocutore stabile per Stati Uniti, NATO e Sud globale.

Meloni ha intercettato questa trasformazione con lucidità. Ha rotto il complesso di inferiorità verso le grandi capitali europee e ha riportato l’Italia al centro della storia. L’asse Parigi-Berlino è logoro. Il nuovo triangolo che conta si chiama Roma-Washington-Budapest (e in prospettiva anche Londra).

Macron a Roma, ma con il cappello in mano

Il vertice del 3 giugno sarà descritto come cordiale, collaborativo, strategico. Ma dietro le quinte, è chiaro chi ha in mano le carte. Macron si presenta da leader ferito, in cerca di un rilancio diplomatico. Meloni lo accoglie con tono istituzionale, ma consapevole di avere la forza di chi non deve più chiedere permesso.

Non è la prima volta che un capo di Stato francese cerca Roma in tempi difficili. Ma è la prima volta, da decenni, che lo fa da posizione di debolezza, senza la spocchia del “fratello maggiore” repubblicano. L’Italia, stavolta, non è l’allievo. È la protagonista.

La diplomazia della fermezza

Quello che il video di Brigitte Macron ha fatto intuire con brutalità, la politica italiana lo conferma con intelligenza. I ruoli si sono invertiti. L’Italia non è più il vaso di coccio tra potenze. E non è più ostaggio dei pregiudizi parigini su cosa sia destra, popolo, identità.

Meloni ha restituito dignità e centralità a un Paese che ora viene cercato, non compatito. E nel farlo, ha trasformato persino una carezza diplomatica in un atto di potere. Senza retorica, senza vendette. Ma con la certezza che, oggi, è Roma il cuore dell’Europa politica.

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Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

1 commento

  1. Grande Giorgia, ancora una volta.
    Mi fa molto piacere che con il Governo Francese il nostro Governo apra un dialogo tra nazioni amiche, come non possono che essere Italia e Francia, per cultura, prossimità, interessi economici, politici e di difesa.
    Come con gli Stati Uniti, forse ancora più con la Francia dobbiamo costruire una visione unitaria di difesa e sviluppo della civiltà occidentale.
    Tra l’altro, sia detto per inciso, la Francia, al di là dei diversi Governi che si sono succeduti, ha sempre tutelato la propria “sovranità”, come si dice ora e come anche l’Italia intende fare. Se qualche volta è sembrato volesse imporre ad altri tale sovranità, forse è anche demerito di questi altri. Come si dice: chi pecora si fa…
    Giorgia non si fa di certo pecora. Nemmeno lupo. Nel rispetto reciproco può nascere molto.

    Con affetto

    Alessandro

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