Macron, “faccia da schiaffi”, e la sua strabica politica estera

Il presidente francese Emmanuel Macron sarà fra qualche giorno a Roma per incontrare il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Vi sono state divergenze fra l’inquilino dell’Eliseo, alcuni esponenti politici a lui vicini e il Governo italiano, ma, al di là delle note incomprensioni e come ha precisato la premier Meloni, Francia e Italia non sono Nazioni nemiche. Nonostante Macron abbia sempre fatto poco per risultare simpatico agli italiani, è meglio riuscire a mantenere il più possibile buone e aperte le relazioni franco-italiane perché Roma e Parigi hanno fatalmente molto da spartire assieme, in sede europea e in ambito NATO.

La premier italiana, in maniera più convincente rispetto a quella del presidente francese, dimostra da due anni e mezzo di possedere invidiabili virtù diplomatiche che le consentono, senza doversi annacquare in qualche modo o genuflettere, di avere un dialogo, concludere anche importanti accordi e anteporre gli interessi strategici dell’Italia alle varie colorazioni partitiche, con presidenti e primi ministri distanti dalla destra e dal mondo conservatore. Giorgia Meloni ha capito meglio di tanti altri che determinati equilibri internazionali e l’interesse comune italiano siano superiori alla fisiologica lotta fra destra e sinistra, e infatti, basta vedere gli schietti rapporti intrattenuti dalla premier conservatrice con il socialista albanese Edi Rama, il laburista britannico Keir Starmer, il democratico USA Joe Biden e la socialdemocratica danese Mette Frederiksen.

Quindi, è opportuno che vi sia anche un confronto con il francese Macron, ma la realpolitik con la Francia non ci impedisce di vedere e criticare le lacune piuttosto enormi della politica macroniana, interna ed esterna a La Republique. A livello domestico, Emmanuel Macron ha raggiunto alti livelli di impopolarità dopo aver tramato contro il suo stesso popolo alle scorse elezioni legislative per fermare con metodi poco ortodossi l’avanzata elettorale del Rassemblement National di Marine Le Pen, e aver reso determinante l’estrema sinistra di Jean-Luc Melenchon. Sul piano della politica europea, il presidente d’oltralpe ha organizzato a Strasburgo, sempre in barba alla volontà popolare, la grande alleanza degli sconfitti alle Europee per rieleggere Ursula von der Leyen alla guida della Commissione UE ed escludere a priori il gruppo dei Conservatori e Riformisti di ECR.

Circa la guerra in Ucraina e il difficile raggiungimento di una pace con la Russia di Vladimir Putin, il leader francese, soprattutto dopo l’inizio della presidenza Trump negli Stati Uniti, si è messo a brigare per un fronte occidentale di negoziazione e appoggio a Kiev con velleità divisive rispetto all’asse transatlantico USA-UE, non tanto per amore verso gli ucraini o per uno scatto di orgoglio europeo mirato a realizzare qualcosa senza l’influenza americana, ma per manie di protagonismo e al fine di intestare la guida di un importante processo internazionale ad una leadership traballante in Patria e fuori.

Negli ultimissimi giorni, Emmanuel Macron è riuscito ad emergere, fra tutti i presidenti e premier della UE, come il leader occidentale più malevolo verso lo Stato di Israele e il governo di Benjamin Netanyahu. Nella sua foga accusatoria, l’inquilino dell’Eliseo è incappato però in una serie di affermazioni del tutto scorrette che sono difficili da ignorare. In visita a Singapore, Macron ha definito un dovere morale e un’esigenza politica il riconoscimento di uno Stato palestinese e ha invitato i Paesi della Unione Europea a rafforzare la loro posizione collettiva nei confronti di Israele fino ad imporre sanzioni a Gerusalemme per la guerra e la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza. Per il presidente francese non sono accettabili doppi standard e se è sempre stato ritenuto giusto applicare sanzioni alla Russia per l’aggressione in Ucraina, deve essere altrettanto contemplata la possibilità di sanzionare Israele per la guerra a Gaza.

Quindi, per Emmanuel Macron, Netanyahu e Putin pari sono. La reazione israeliana non si è di certo fatta attendere e i ministri del governo Netanyahu, da quello della Difesa Israel Katz al titolare degli Esteri Gideon Sa’ar, sono stati piuttosto duri con l’Eliseo, parlando di crociata macroniana contro lo Stato ebraico e della famigerata data del 7 ottobre 2023 come nuova festa nazionale della Francia di Macron. Israele sarà stato pure severo, ma l’ex enfant prodige d’oltralpe, ormai un po’ invecchiato e persino malmenato dalla consorte, avrebbe fatto migliore figura nel tacere o perlomeno nell’articolare diversamente la propria critica verso Gerusalemme.

Capiamo che Macron, diciamola così, voglia tenere un piede pure nel mondo arabo, anche se l’attivismo francese nel Maghreb e non solo, dall’Algeria a Muhammar Gheddafi, è stato contrassegnato finora da molte ombre e scelte avventate. Il bisogno di interloquire con le monarchie sunnite del Golfo Persico in particolare e di riprendere gli Accordi di Abramo è sentito anzitutto dall’Amministrazione Trump e dal Governo italiano, ma cercare di non abbandonare il dialogo con almeno una parte degli arabi non deve portare allo strabismo politico e ad inginocchiarsi solo davanti ad una fazione sputando sentenze stupide sull’altra.

L’obiettivo denominato “Due popoli, due Stati”  non è mai stato accantonato, ma questo è il momento meno opportuno per parlare di Stato palestinese perché persiste il problema di Hamas che tuttora esita, a proposito di colpevoli e vittime di questa guerra, caro Macron, ad accettare forme di tregua del conflitto come il piano presentato dall’inviato di Donald Trump, Steve Witkoff, approvato invece da Israele.

I terroristi di Gaza faticano a esprimere un sì perché il piano Witkoff prevede, fra diverse cose, il disarmo di Hamas e se gli integralisti si rivelano restii nel deporre le armi ciò significa soltanto che essi, pur indeboliti molto dalle operazioni militari di Israele, intendono proseguire a rappresentare una minaccia per lo Stato ebraico e la sua popolazione civile. Fino a che Hamas non sarà disarmata, con le buone o con le cattive, sarà complicato rivendicare lo Stato di Palestina, che, se concesso oggi, sarebbe un regalo, suicida per Israele e per l’Occidente, a favore di un’organizzazione terroristica sulla quale invece un presidente come Emmanuel Macron dovrebbe esercitare una forte pressione.

Macron, tramite le sue parole pronunciate a Singapore, ha dimostrato di essere o affetto da grave strabismo oppure mosso da malafede e faziosità. Gaza e Ucraina non sono paragonabili perché nella prima, Israele è sì entrato con il proprio esercito, ma per difendersi in quanto aggredito da Hamas il 7 ottobre del 2023, mentre nella seconda, la Russia non è entrata per tutelarsi da una precedente aggressione militare di Kiev. Comunque, benvenuto in Italia presidente Macron!

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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