Marocchinate, Pellegrino (FdI): violenza su nostra popolazione non sia dimenticata

Nelle pagine di storia che troppi vogliono dimenticare annoveriamo i fatti accaduti tra l’aprile e il giugno del 1944, quando gli italiani che abitavano le terre del basso Lazio subirono atroci violenze da parte delle truppe marocchine della V armata guidata dal francese Alphonse Juin.

I cd. “goumiers”, aggirando il monte Petrella, avevano così assicurato agli inglesi lo sfondamento della linea Gustav e come premio avevano ricevuto dal Generale Juin “50 ore di libertà” nelle quali fu consentito loro di depredare le nostre città e di abusare sessualmente degli abitanti. I soldati del CEF si resero responsabili di violenze su più di 60mila donne e uccisero uomini e bambini con crudeltà efferata: un bimbo di 5 anni, per il solo fatto di assistervi inerme, venne lanciato in aria “perché dava fastidio” e poi lasciato cadere. A Vallemaio due sorelle dovettero soddisfare un plotone di 200 soldati; 300 di questi invece, abusarono di una sessantenne. Gli uomini che reagirono furono sodomizzati, uccisi a raffiche di mitra, evirati o impalati vivi.

La strage perpetrata sulla nostra popolazione non fu un caso isolato: l’abitudine a considerare gli italiani come bottino di guerra su cui sfogare il loro istinto bestiale era iniziata non appena erano sbarcati in Sicilia già dal luglio 1943 e altre testimonianze raccontano di analoghi episodi a Salerno e in Toscana.

La ferocia dei goumiers si arrestò solo nell’ottobre del ’44 alle porte di Firenze, quando il corpo di spedizione fu trasferito in Provenza e qui tenuto sotto controllo col filo spinato per evitare che la stessa tragica fine toccasse alle donne francesi.

A seguito di queste azioni bestiali molte persone furono contagiate dalla “maladia te li marucchini” (la sifilide o ‘morbo gallico’), con gravissime conseguenze per la loro salute e la loro dignità. Alla tragedia della violenza si aggiunse la macchia inestinguibile e non accettabile socialmente dell’abuso, che costrinse le vittime ad una vita isolata e ai margini, perché considerate “appestate” sia nel corpo che nell’anima. Molte donne rimasero incinte e molte ebbero aborti spontanei; tantissime, invece, scelsero di abortire, di suicidarsi o di uccidere il bambino frutto dello stupro dopo la sua nascita. Quelle che non ebbero il cuore di ucciderli li consegnarono agli orfanotrofi e moltissimi di questi dovettero, a loro volta, accontentarsi di una breve vita passata con la malattia degenerativa trasmessa in pancia dalla madre.

Di tutta questa barbarie, che deve essere considerata frutto di “crimini contro l’umanità”, nessuno vuole parlare.

Le novelle femministe, che da sempre si sciacquano la bocca nel condannare la violenza sulle donne, non ha mai affrontato l’argomento, brave come al solito ad essere omertose su episodi storici che creano difficoltà alla loro parte politica.

Amministrazioni di sinistra, come quella di Virginia Raggi ad esempio, si sono rifiutate di assegnare un toponimo alle vittime delle marocchinate. Eppure anche Roma pagò il suo tributo e uno degli episodi più cruenti avvenne quando alcuni goumiers violarono due donne e le gettarono poi da un treno in corsa, uccidendole.

Il Comune di Pontecorvo addirittura non ha esitato nell’erigere una stele che rendesse onore ai soldati di Juin.

Tutto questo è inaccettabile!

I nostri ragazzi hanno il diritto di conoscere quelle pagine strappate della nostra storia e il ruolo di narratore non può essere certamente relegato al solo film “La Ciociara” di De Sica!

Oggi, come dipartimento tutela vittime di Fratelli d’Italia, raccogliamo l’invito delle associazioni che da anni si battono per il ricordo di quei massacri e ci uniamo alle celebrazioni in memoria delle Vittime delle marocchinate, nell’augurio che presto venga istituita una Giornata nazionale istituzionale. Auspichiamo su questo una maggiore sensibilità da parte del Parlamento che, con la scusa incommentabile che ormai sono morti sia vittime che carnefici, ha bocciato nel 2018 la proposta del Sen. Massimo Ruspandini per la istituzione di una commissione d’inchiesta su quegli stupri.

Nonostante la si voglia cancellare quella ferita è ancora aperta: far emergere questa verità è il primo atto che potrà restituire giustizia e dignità alle sofferenze patite dagli uomini e dalle donne della nostra terra.

Cinzia Pellegrino, coordinatore nazionale del dipartimento tutela vittime di Fratelli d’Italia.

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