Sono passati due anni da quella mattina in cui il Medio Oriente tornò a precipitare nel buio. Il 7 ottobre 2023, migliaia di israeliani furono massacrati nei kibbutz e al Nova Festival nel deserto del Negev. Le milizie di Hamas attaccarono con ferocia indiscriminata: oltre mille duecento morti, centinaia di rapiti. Fu l’inizio di una nuova stagione di guerra, di vendette e di lutti che ha ridisegnato le faglie della regione.
Oggi Israele ricorda le vittime. E anche l’Italia, per voce della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, torna a pronunciare parole di verità e di misura, nella linea di chi non confonde solidarietà con cecità, né difesa con giustificazione.
«Sono trascorsi due anni dall’ignominia del massacro compiuto dai terroristi di Hamas contro migliaia di civili inermi e innocenti israeliani, donne e bambini compresi. Crimini indicibili che fanno del 7 ottobre una delle pagine più buie della storia.»
La Premier, nel suo messaggio ufficiale, ha scelto un registro netto, morale, ma non privo di realismo. Condanna senza attenuanti la violenza di Hamas, riconosce il diritto di Israele a difendersi, ma ammonisce sui limiti dell’azione militare.
«La violenza di Hamas ha scatenato una crisi senza precedenti in Medio Oriente. La reazione militare di Israele è andata oltre ogni principio di proporzionalità, e sta mietendo troppe vittime innocenti tra la popolazione civile di Gaza.»
Medio Oriente due anni dopo: la ferita del 7 ottobre
Il conflitto tra Israele e Hamas ha dissolto le ultime illusioni di una “pace fredda” che molti avevano dato per scontata dopo gli Accordi di Abramo. L’area è diventata un mosaico di guerre parallele – Gaza, Libano, Yemen, Siria – e di nuove alleanze tattiche tra potenze regionali. L’Iran ha moltiplicato la sua influenza, i Paesi del Golfo hanno reagito cercando una via diplomatica autonoma, mentre gli Stati Uniti sono tornati a giocare il ruolo dell’arbitro necessario.
Il doppio movimento – la pressione militare di Israele e la ricerca americana di una stabilità negoziata – ha prodotto un fragile equilibrio: un cessate il fuoco intermittente e una diplomazia multilivello, con Egitto, Qatar e Arabia Saudita come mediatori. È in questo scenario che l’Italia si muove, non come spettatore, ma come ponte politico e morale tra l’Europa e il Mediterraneo.
L’Italia tra solidarietà e responsabilità
Meloni ha scelto una linea che potremmo definire “della doppia fedeltà”: solidarietà con Israele, ma responsabilità verso la pace. Una posizione che riflette tanto la cultura politica del governo quanto la tradizione atlantica e mediterranea dell’Italia.
«Oggi rinnoviamo la vicinanza ai famigliari delle vittime e torniamo a chiedere la liberazione degli ostaggi, che ancora oggi attendono di tornare a casa dopo due anni di prigionia, vessazioni, sofferenze.»
Nel linguaggio della Premier si avverte la consapevolezza di un limite: non si può combattere il terrorismo dimenticando l’umanità. È una linea di equilibrio che distingue Roma da altri governi europei, troppo condizionati da logiche interne o da un pacifismo ideologico privo di realismo.
Il piano Trump e la prospettiva di una pace reale
Nell’attuale fase, ciò che cambia lo scenario è l’iniziativa americana. Donald Trump, tornato alla Casa Bianca, ha lanciato un piano di pace che ha raccolto – fatto inedito – il consenso di Stati arabi e Paesi islamici moderati. È una piattaforma che combina garanzie di sicurezza per Israele, autonomia amministrativa per Gaza e meccanismi di cooperazione economica regionale.
Meloni ha accolto il piano con favore, cogliendo il suo valore geopolitico prima ancora che diplomatico: riportare gli Stati Uniti al centro di un equilibrio negoziato e sottrarre la crisi alle influenze iraniane e turche.
«Il Piano di pace presentato dal Presidente Trump […] offre una opportunità che non deve andare sprecata, per giungere a una cessazione permanente delle ostilità, riportare a casa gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas e avviare un processo verso un quadro di pace e di sicurezza in tutto il Medio Oriente.»
L’equilibrio come forza
L’Italia, conclude Meloni, continuerà a “fare la propria parte” in questa direzione. È una formula diplomatica ma anche una visione strategica. Roma non dispone della forza militare degli Stati Uniti né dell’influenza economica del Golfo, ma può esercitare quella forza che deriva dall’equilibrio, dalla credibilità e dalla chiarezza morale.
In un mondo di schieramenti fluidi e di leadership incerte, il messaggio italiano resta uno dei pochi a parlare un linguaggio semplice: condanna del terrorismo, difesa del diritto, tutela dei civili, costruzione di pace. È la diplomazia del realismo, che non cede né alla propaganda né alla paura. E forse, proprio per questo, è la più difficile e la più necessaria.