Nel cuore dell’Europa che si dibatte tra la stasi e il disincanto, l’Italia di Giorgia Meloni continua a sorprendere. Ma non tutti sono sorpresi allo stesso modo. C’è chi, come l’economista francese Nicolas Baverez, osserva il fenomeno Meloni con il filtro razionale del dato, della traiettoria, della credibilità. E ne restituisce un ritratto che oggi, pubblicato su Welt, assume la forma di una diagnosi netta: Giorgia Meloni ha smentito tutti i suoi critici.
La leadership come anomalia virtuosa
L’autore, noto per avere previsto due decenni fa il declino della Francia, individua oggi in Meloni non un’eccezione populista, ma una variabile sistemica. Non una deriva, ma un fattore di stabilizzazione. Non una minaccia all’Europa, ma un motore credibile per un’Unione che arranca. A due anni e mezzo dal suo insediamento, con una vittoria alle europee 2024 ormai consolidata, la premier italiana ha ribaltato le aspettative di fallimento coltivate da molti osservatori occidentali.
In un momento in cui la Quinta Repubblica francese mostra segni di fragilità da Quarta, e la Germania scivola nel ruolo di “malato d’Europa”, Meloni garantisce stabilità istituzionale, mantiene saldo il perimetro costituzionale, e — fatto non banale — governa senza retorica e senza propaganda, ma con un’attitudine operativa quasi anglosassone.
Immigrazione, economia, Stato: il realismo come dottrina
Uno dei fronti su cui il governo italiano è stato più violentemente attaccato è stato quello dell’immigrazione. Eppure, dati alla mano, Baverez nota come gli ingressi illegali siano crollati del 58% nel 2024. Il doppio binario tra contenimento esterno (Tunisia e Albania) e integrazione legale (450.000 regolarizzazioni mirate) risponde sia al bisogno di sicurezza che a quello di manodopera, senza scivolare in derive xenofobe.
In economia, l’Italia è uscita dalla trappola del doppio deficit: avanzo primario, disoccupazione al 6,2%, crescita superiore alla media UE e un tasso di occupazione record del 63%. Un’anomalia positiva che ha un nome: governance selettiva, capacità di spesa, credibilità.
Il “metodo Meloni” si nutre di riformismo pragmatico: riforma dello Stato, taglio alla spesa improduttiva, liberalizzazione del lavoro, promozione dell’innovazione. E soprattutto un’idea chiara: lo Stato non è un padrone, ma un facilitatore dell’iniziativa privata.
Un conservatorismo razionale e non ideologico
Nessuna tentazione reazionaria, nessun neofascismo. Baverez è netto: Meloni non è Orbán, né una Trump europea. Non epura, non chiude media, non militarizza la cultura. Non emula Mosca. Propone invece una visione coerente e democratica, basata su valori cardine: famiglia, religione, patria.
Il suo conservatorismo — ci ricorda Baverez — non è un revival passatista ma una cornice valoriale razionale, capace di affrontare il nodo esistenziale dell’Italia: il calo demografico. L’unico dato su cui Meloni non bara: 1,24 figli per donna.
L’arte del posizionamento geopolitico
Meloni non è solo leader nazionale. È cerniera tra mondi. Baverez la definisce “ambasciatrice UE” nei rapporti con l’America di Trump, ma anche regista diplomatica tra Bruxelles, Berlino e il Maghreb. Ha colmato il vuoto lasciato dalla Francia in Africa, ha costruito un asse politico-industriale con la Germania e il PPE, mantenendo intatti i canali con gli USA e i colossi tech (leggasi: Elon Musk).
Ecco allora che l’Italia torna a mediare tra imperi e democrazie, proprio mentre la globalizzazione si contrae e lo scenario internazionale si radicalizza.
Oltre il populismo, un nuovo paradigma
Baverez riconosce in Meloni la fine della prima ondata populista: quella iniziata nel 2016 e affondata tra Brexit e no-vax. Ciò che emerge è un populismo di governo, sobrio, selettivo, capace di durare. Più vicino a Mario Draghi che a Nigel Farage, più attento al presente che al mito.
La premier italiana non propone di superare la dicotomia destra/sinistra, ma di ristabilirla su basi identitarie e funzionali. E questo, paradossalmente, la rende più europea dei suoi critici.
L’Italia, oggi, non è più fanalino di coda, ma avanguardia continentale. Il fatto che a certificarlo sia un economista francese, su una delle testate più autorevoli della Germania, è più che simbolico: è il segno di una inversione culturale.
Chi non vuole vedere il cambiamento di paradigma italiano — e continua a interpretare Meloni con le lenti deformanti del Novecento — rischia di restare non solo politicamente fuori tempo massimo, ma anche intellettualmente irrilevante.
Grande Meloni, il piedistallo dell’ Italia. La figura di cui andare orgogliosi. Persona affidabile che da tempo mancava al Governo del nostro Paese. Riferimento per guardare con speranza al futuro.