Lo sciopero generale proclamato per venerdì dai sindacati si trasforma in un caso politico. Non tanto per i motivi della protesta, quanto per la scelta della data: alla vigilia di un fine settimana lungo. Giorgia Meloni non ha perso l’occasione per sottolineare l’assurdità della situazione: «Weekend lungo e rivoluzione non stanno insieme», ha detto la premier, smascherando l’operazione come più comoda che combattiva.
La critica della premier
Intervenendo da Copenaghen, Meloni ha fatto notare come la mobilitazione rischi di trasformarsi in una vacanza mascherata. Un’arma spuntata che finisce per danneggiare i cittadini più che il governo: «Non si può parlare di grande battaglia sociale se si sceglie strategicamente un venerdì per garantire un ponte. Questo significa arrecare disagi al popolo italiano, non colpire chi governa».
Un messaggio ai sindacati
La premier ha voluto lanciare un messaggio chiaro ai leader sindacali: la protesta non è un dogma, né un rituale da replicare a orologeria. «Scioperare è un diritto, ma è anche una responsabilità», ha spiegato. Tradotto: proclamare scioperi che somigliano più a un weekend lungo che a una mobilitazione rischia di minare la credibilità stessa del sindacato.
Chi paga il prezzo
A rimetterci, come sempre, sono i cittadini. Trasporti a rischio, scuole chiuse, uffici pubblici paralizzati: lo sciopero colpisce direttamente famiglie e lavoratori che non hanno alcuna responsabilità politica. Una contraddizione che Meloni non ha mancato di mettere in evidenza: «Non sono i governi a rimanere bloccati, ma la gente che deve andare a lavorare, i genitori che devono portare i figli a scuola, le imprese che devono consegnare i prodotti».
La linea del Governo
Il governo continua a rivendicare la scelta della responsabilità e della concretezza contro ogni avventurismo di piazza. Non a caso Meloni ha ribadito la sua ricetta: affrontare le difficoltà con riforme, investimenti e un dialogo serio, non con gesti che appaiono più simbolici che reali. Una linea che trova consenso non solo tra i sostenitori della maggioranza, ma anche tra chi si aspetta dal sindacato meno ritualità e più sostanza.
Un sindacalismo d’altri tempi
La polemica aperta da Meloni mette a nudo una verità scomoda: parte del sindacalismo italiano continua a muoversi come negli anni Settanta, più attento al gesto eclatante che ai risultati. Oggi però la società è cambiata. I lavoratori chiedono risposte concrete, non weekend lunghi camuffati da rivoluzione.