La Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping sono le due principali potenze mondiali che rappresentano un radicale controcanto rispetto alle democrazie e all’Occidente, e chi pensa che esse in fondo siano entità benevole o perlomeno non troppo ostili per USA e UE, è un illuso oppure un soggetto in malafede. Certo, se vi sono le condizioni adatte, si può senz’altro affrontare sia Mosca che Pechino con la cosiddetta realpolitik e la ricerca di una convivenza globale accettabile fra democrazie e autocrazie, che diviene anche garanzia di pace e stabilità. Momenti di forte realismo internazionale non sono mancati dal dopoguerra ad oggi ed insegnamenti in tal senso sono stati lasciati da uomini come Henry Kissinger e Richard Nixon, due figure politiche che non avevano di certo un’idea di America arrendevole o magari complice dei dittatori. Tuttavia, si palesano a volte delle fasi storiche nelle quali la distensione pragmatica, utile a dare una tranquillità e un ordine al mondo, diventa un esercizio complicato e rischioso. Per esempio, davanti all’aggressione russa in Ucraina l’Occidente non ha ovviamente potuto fare finta di nulla, e non è altresì possibile ignorare i segnali che giungono dalla Cina da alcuni anni a questa parte. Non più solo business, già di per sé agevolato da una globalizzazione squilibrata, ma, attraverso l’appoggio fornito alla Russia nella guerra e le manovre minacciose attorno a Taiwan, una volontà sempre più evidente di sfidare gli Stati Uniti, e pure l’Europa, sul piano geopolitico e militare. In questo frangente storico, tanto Putin a Mosca, che peraltro continua a non prendere sul serio le possibilità di pace in Ucraina, quanto Xi a Pechino, intendono fronteggiare l’Occidente piuttosto che conviverci. Entrambi, con il loro fidato amico nordcoreano Kim Jong-un, fornitore di soldati per la Federazione russa, hanno reso bene l’idea di quella che è una sfida lanciata contro il mondo democratico tramite la parata militare tenutasi in Piazza Tienanmen a Pechino in occasione dell’ottantesimo anniversario della vittoria cinese nella Seconda Guerra mondiale. Più che celebrare la Storia, Putin, Xi Jinping e Kim hanno inteso dare una dimostrazione al mondo dell’esistenza di un asse anti-occidentale che non sembra interessato alla realpolitik, e hanno posto l’accento sulla cosiddetta SCO, Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, come alternativa alla NATO. Di fronte a ciò, pur con tutto il realismo possibile, in Occidente non si può che nutrire diffidenza, ma un cittadino occidentale, nello specifico italiano, ha deciso di partecipare alla parata militare di Xi, Putin e Kim. Non si è trattato di un nostro connazionale qualunque, bensì, del redivivo Massimo D’Alema, che si è fatto pure intervistare da un’emittente televisiva cinese. Il Baffino nazionale è stato ferocemente criticato in Italia per la sua presenza a Pechino e non solo da esponenti del centrodestra, ma anche da Carlo Calenda che ha definito grave la partecipazione di D’Alema, il quale è peraltro un ex Presidente del Consiglio, a quella che è stata una dimostrazione di forza di un mondo che è l’antitesi delle democrazie liberali. In effetti, se si partecipa ad un evento dove vengono stabiliti di fatto dei confini di una parte del pianeta che si pone come contraltare non proprio pacifico rispetto ad un’altra fetta di globo, significa che si vuole contribuire, condividendolo, al progetto. Insomma, Massimo D’Alema sostiene Cina, Russia e Corea del Nord nel loro cammino di aperta sfida nei confronti dell’Occidente. Paolo Mieli, in un talk show televisivo, ha però elogiato l’ex leader della sinistra perché almeno egli sarebbe stato onesto nel recarsi a Pechino e nell’evitare di nascondere in modo ipocrita le proprie simpatie per chi lavora contro le nostre società libere. Forse Mieli non ha tutti i torti visto e considerato che tutta la sinistra italiana, rossa, gialla e verde, al tempo di Romano Prodi come a quello odierno di Giuseppe Conte e Elly Schlein, ha sempre avuto la passione per gli illiberali e gli autocrati anti-occidentali e antiamericani, ma è sempre ricorsa a patetici artifici verbali per nascondere un radicato sentimento anti-democratico e anti-italiano. D’Alema è invece come i vecchi compagni del PCI che si recavano a Mosca ai congressi del PCUS e non nascondevano affatto la loro condivisione degli obiettivi dell’allora Unione Sovietica. In ogni caso, schiettezza o ipocrisia, è un bene che Baffino non conti più nulla in Italia, sotterrato anni fa, in senso politico s’intende, dal rottamatore del PD Matteo Renzi. L’attuale leader di Italia Viva ha fatto anche cose buone.