La sinistra ha colpito ancora. Stavolta tocca a Gianfranco Miglio, giurista, politologo, mente brillante e padre del federalismo, il cui nome è stato rimosso dalla facciata della scuola di Adro, in quel di Brescia. Motivo? Ufficialmente, per evitare «connotazioni politiche». Ridicolo. Un insulto all’intelligenza di chi conosce la storia. Miglio non era un politicante qualunque, ma un intellettuale di spessore, un illustre comasco che ha lasciato un segno profondo nella storia del pensiero italiano.
Le sue idee sull’autonomia e sul federalismo sono ancora oggi un faro per chi crede in un’Italia meno centralista. Ma non era di sinistra. Quindi, via il nome, via la memoria, via tutto ciò che non si piega alla narrazione del pensiero unico. Diciamolo chiaro: il Sole delle Alpi, simbolo leghista di padana memoria, appiccicato su una scuola era oggettivamente grottesco, un’esagerazione fuori luogo. Ma, per carità, non era nulla rispetto all’opera sistematica di occupazione ideologica delle scuole che la sinistra sta portando avanti con una determinazione che fa paura.
Non si tratta solo di cancellare un nome o un simbolo: qui si vuole riscrivere la storia, imporre una visione unica, un pensiero omologato che non ammette dissenso. E chi sono le prime vittime? I nostri figli, i bambini che nelle aule dovrebbero imparare a pensare con la propria testa, non essere indottrinati con i dogmi della sinistra. Parliamo di autentiche barbarie: dall’ideologia gender, che fuorvia invece di educare, alla cancel culture, che abbatte statue, cambia nomi di strade e ora si accanisce persino su un gigante come Miglio.
La rimozione del suo nome, guarda caso proprio il 10 agosto, anniversario della sua morte, non è un incidente, ma un segnale, un messaggio chiaro: chi non si allinea al verbo progressista deve sparire. La sinistra si riempie la bocca di parole come “inclusività” e “tolleranza”, ma poi agisce come un rullo compressore, schiacciando tutto ciò che non rientra nel suo schema.
È una contraddizione che grida vendetta. Miglio, con la sua autorevolezza indiscutibile, non era solo l’ideologo leghista degli anni ’90: era un pensatore che ha dato un contributo enorme al dibattito pubblico. Cancellarlo non è solo un affronto alla sua memoria, ma un insulto alla nostra intelligenza e alla nostra storia.
Le scuole non sono feudi da conquistare, non sono laboratori per esperimenti ideologici. Dovrebbero essere templi del sapere, luoghi dove si insegna a ragionare, non a recitare slogan. Invece, la sinistra le trasforma in trincee per la sua guerra culturale, dove il passato viene riscritto e il futuro modellato a sua immagine e somiglianza.
È un’operazione che puzza di totalitarismo, altro che democrazia. E il bello è che si fanno passare per i buoni, i paladini della libertà, mentre brandiscono la gomma da cancellare con una ferocia che farebbe invidia ai peggiori censori.
Basta con questa farsa. La cancel culture non è progresso, è regressione. Una società che si vergogna della propria storia, che ne nasconde le stratificazioni o la distrugge, è una società che ha paura di sé stessa.
Gianfranco Miglio dovrebbe essere celebrato come un uomo che ha saputo guardare lontano o, al limite, anche discusso. Ma cancellarlo significa ammettere di temerlo. Ed è proprio questa paura, travestita da moralità, che rivela la fragilità e il vero volto della sinistra.